Ecco s’avanza uno strano operaio

E’ passato più di mezzo secolo dall’ultima inchiesta sociologica sui metalmeccanici, o meglio su una loro parte: le tute blu della Fiat. L’autore era Aris Accornero. Per risalire alle gloriose inchieste di massa bisogna tornare addirittura agli anni Sessanta, se non prima. Per inchiesta di massa si intende qualcosa di più impegnativo di un’indagine sociologica. Si tratta di impostare un lavoro di ricerca che risponda alle esigenze di chi la commissiona, di preparare un questionario anonimo, di attivare centinaia di quadri che ne organizzino la distribuzione e la compilazione e infine garantiscano il ritorno del numero più alto possibile di risposte, cioè di questionari compilati. Conoscere per cambiare: conoscere le condizioni di lavoro e la sua organizzazione, il rapporto soggettivo con quel preciso lavoro, i rischi per la salute, la fatica, le malattie professionali e l’inquinamento, l’alienazione prodotta dalla ripetitività di un gesto. E ancora, la gestione del tempo e il rapporto tra quelli che una volta si chiamavano tempo di lavoro e tempo di vita. Le aspettative future, le speranze di carriera, le delusioni, l’autotutela e il rapporto con il sindacato.
Si parte dall’Abruzzo
La Fiom si chiede chi siano i lavoratori che rappresenta e come lavorino, informazioni indispensabili per capire se li sta rappresentando bene o meno bene. Per questo ha avviato un’inchesta di massa sulle e sui dipendenti metalmeccanici. Mezzo milione di questionari, di cui proprio in questi giorni è partita la distribuzione, iniziando con l’Abruzzo e in particolare con la Sevel della Val di Sangro. Si tratta di un volume impegnativo di domande, 118 per la precisione, che dovrebbero consentire di formulare entro l’anno il disegno di un complesso putzle in cui ogni operaio e impiegato rappresenta un singolo tassello. A quest’impresa parteciperà la diffusissima rete dei delegati Fiom, le Rsu, insieme ai funzionari e ai dirigenti territoriali e aziendali. Le domande sono state poste con l’obiettivo di analizzare i mutamenti avvenuti in una categoria composta dei settori più diversi, dall’operaio alla catena di montaggio («massa» si diceva, con una semplificazione che non rendeva merito alla complessità) all’orafo, dall’informatico al lavoratore ad altissima professionalità, la moderna «chiave a stella» di cui raccontava Primo Levi, dal siderurgico descritto da Francesco Rea nella «Dismissione» di Bagnoli alla ragazza spremuta nei modernissimi call center.
Francesco Garibaldo, che ha curato insieme ad altri ricercatori la preparazione del questionario, preferisce non far numeri, lasciando però intendere che il ritorno di centomila questionari compilati rappresentarebbe un risultato straordinario. Non parla degli obiettivi dell’inchiesta ma ci spiega le sue potenzialità: «Una rappresentazione pubblica dello stato del lavoro in Italia in un settore chiave, per rispondere alla domanda «come stanno oggi i metalmeccanici?». Qualcosa di simile, anche se meno impegnativo, è stato fatto in Emilia per Cgil, Cisl e Uil con 13 mila questionari. L’Italia è «uno strano paese, in cui tranne lodevoli eccezioni il lavoro non è rappresentato politicamente e non è raccontato mediaticamente. L’inchiesta vorrebbe sfondare questo muro di silenzio». La seconda potenzialità è che «sui dati quantitativi si possono innescare ricerche qualitative di grande interesse». Infatti, la Fiom è orientata ad attivare una «fase 2» sulla soggettività dei lavoratori, ci dice il segretario generale Gianni Rinaldini, con interviste approfondite a un campione di soggetti scelti nel rispetto della composizione di classe (si può ancora chiamare così?) dei metalmeccanici, i luoghi di lavoro (nord-sud-centro), la nazionalità, il sesso, la professionalità. Un modo, come spiega Garibaldo, per passare dalla denuncia del malessere alle ragioni del malessere operaio. Il terzo passo l’intervento sindacale per modificare le condizioni che producono quel malessere. Ma già l’avvio dell’inchiesta è una sollecitazione ai delegati e alle strutture a occuparsi dei temi caldi.
Sono sufficienti i dati che pubblichiamo nell’altro articolo di questa pagina e nelle tabelle per smontare un pregiudizio, persino in sede politica e sindacale, di antica data. E’ forse dai 35 giorni dell’80, dalla sconfitta operaia ai cancelli di Mirafiori, che è passata la vulgata della presunta fine del ruolo centrale dei metalmeccanici nel mondo del lavoro e della produzione: postfordismo, globalizzazione, esternalizzazioni, avvento della merce immateriale avrebbero mandato in pensione le vecchie tute blu – per decenni laboratorio, punta avanzata del movimento operaio. La storia – nella sua narrazione e nella sua percezione – si è ribaltata: l’operaio metalmeccanico da icona a residuo. A che serve combattere un’ideologia con un’altra ideologia? Meglio l’inchiesta di massa, per tentare di capire i mutamenti in atto. Senza pregiudizi.
Chi va, chi viene
Ma c’è qualcosa che già si sa. Per esempio, ci spiega Francesca Re David, che per la Fiom segue direttamente l’inchiesta, si sa che «i processi di frantumazione dell’assetto industriale attraverso le esternalizzazioni rende più difficile mantenere il rapporto con i lavoratori. Ogni anno escono 70 mila dipendenti, tra pensioni, cassa integrazione, mobilità, cambiamenti di contratto decisi dall’azienda d’appartenenza; per mantenere il livello di tesseramento dobbiamo farne 70 mila nuove. Solo che escono operai strutturati, sindacalizzati, molti iscritti alla Fiom e non è facile costruire rapporti con i giovani che entrano in fabbrica». E’ un fenomeno che riguarda tutta l’industria, e non a caso la Cgil sta lavorando ad accorpare alcune categorie manifatturiere. La Fiom non perde iscritti, solo lievissime flessioni. Ci sono regioni dove la flessione è più forte, Lombardia e Piemonte e altre dove le iscrizioni aumentano, Veneto, Emilia e Marche.
Cambia il modo di lavorare, ma tra il 30 e il 35% dei metalmeccanici è ancora alla catena di montaggio – dove è più alta la sindacalizzazione – e più del 50% lavora in produzione. Crescono i lavoratori stranieri, anche in casa Cgil: «Ci sono realtà, nel nord, in cui gli immigrati sono il 25% degli iscritti», dice Re David. Cambia il modo di lavorare. Cambia la soggettività di chi lavora. Il lungo viaggio della Fiom tra i lavoratori dovrebbe aiutare a comprendere i cambiamenti, e a intervenirci.