Ecco perché Berlusconi sopravvive a se stesso

Marc Lazar è il direttore della scuola di dottorato dell’istituto di Scienze politiche di Parigi ed è un profondo conoscitore della realtà socio-politica italiana alla quale ha consacrato diversi sagg critici.

Quali bilanci si possono trarre dalle elezioni legislative italiane del 9 e 10 aprile?

In primo luogo bisogna dire che il voto è stato l’espressione, con più dell’83% di partecipazione alle urne, di una democrazia viva in cui gli italiani, per nulla anestetizzati dalla supposta “telecrazia berlusconiana” si sono mobilitati per decidere il loro futuro. Prodi ha vinto sì di misura, ma il suo discorso alla fine non si è rivelato così convincente come sembrava. Forza Italia resta il primo partito della penisola e Silvio Berlusconi rimane sempre in primo piano. Da questo punto di vista il referendum anti-Berlusconi è del tutto fallito.

Come si spiega la rimonta di Berlusconi, il cui bilancio di cinque anni di governo e la cui immagine era molto criticati negli ultimi mesi?

Si spiega nella misura in cui Berlusconi ha perfettamente indovinato la campagna elettorale, è riuscito a riunire attorno alla sua personalità e ad alcuni valori di destra tutto il proprio elettorato. Era un’operazione complessa che gli ha permesso di mostrare i suoi due volti. Berlusconi è una sorta di Giano bifronte: da un parte c’è l’uomo politico, dall’altra l’uomo che ha fatto dell’antipolitica una professione. Benché il bilancio economico del suo governo sia più che contestabile, Berlusconi è stato capace di consolidare la sua egemonia nel nord industriale del paese, dove la disoccupazione è quasi un fenomeno residuale, riuscendo a convincere il mondo della piccola impresa e molti elettori di centrodestra che lui è l’unico rappresentante in grado di difendere i valori di una destra moderna, come la libertà d’impresa e l’anti-statalismo. Poi c’è l’altra grande componente del suo elettorato, i delusi della politica, cittadini che vivono in provincia o si concentrano nelle piccole città, sedotti dalle sue diatribe “antisistema”, dalle invettive i suoi eccessi. A questi ultimi Berlusconi ha detto: «Guardate, io non sono un politico dell’establishment, io sono diverso, sono libero, lo sono anche nel modo in cui vi parlo».

Berlusconi ha spesso insistito sulla «minaccia comunista». Questo argomento che sembra un po’ aneddotico o forzato ha avuto un impatto reale?

Un impatto importante. Credo che sia un grave errore sottovalutare il peso della memoria in un paese come Italia. Un errore commesso da molti analisti. Il Pci era un partito molto forte; all’estero era percepito come un partito molto aperto e avanzato. Ma in Italia per il centrodestra e tutti i suoi oppositori in generale è stato vissuto come un partito chiuso, potenzialmente pericoloso. Non bisogna poi dimenticare il peso della Chiesa e del Vaticano e le loro indicazioni di voto.

Dopo anni di governo la “trama” berlusconiana sembra trasparente. Gli italiani sanno del conflitto d’interesse, sanno delle leggi su misura e quant’altro. Come si spiega che metà dell’elettorato voti ancora per lui?

Questo fenomeno non significa affatto che la metà degli italiani sono disonesti o che approvano certe pratiche. La risposta è molto più sfumata. Esiste innanzitutto un certo “incivismo” italiano latente che si accorda molto bene con i battitori liberi alla Berlusconi. Dai tempi dell’inchiesta di Mani pulite, che ha messo in luce la spaventosa corruzione del sistema, si è poi prodotta una forte disillusione, vedi anche un certo cinismo, rispetto alla classe politica. Così ci si dice: «In ogni caso sono tutti ladri». Infine, e si tratta di un aspetto centrale, ci sono tante persone, intellettuali, liberi professionisti, imprenditori, che votano Berlusconi con piena lucidità. Magari non approvano i suoi metodi, sono infastiditi dal suo discorso mediatico e dai suoi eccessi, ma pensano che tutto ciò non sia fondamentale. Si dicono che, in mancanza di meglio, Berlusconi è il passaggio obbligato per approdare a una destra moderna, coerente e capace di di imporre stabilità e alternanza per il paese. Per loro questo è l’essenziale.

Insomma, il “berlusconismo” potrebbe non costituire un’anomalia italiana, ma lo specchio di un’evoluzione delle nostre società?

In un certo senso è così. E’ incontestabile che Berlusconi ha segnato a fondo la società e la democrazia italiana. Al di là dei suoi valori di imprenditore liberista e individualista, ha trasmesso al Paese l’idea che tutti posono godere di tutte le libertà, senza ostacoli, l’idea di ottenere il risultato a ogni costo. «Arricchitevi», è stato il suo messaggio agli italiani. Un messaggio che forse non sarà rassicurante, ma che traduce perfettamente le paure e le evoluzioni delle nostre democrazie di fronte alle trasformazioni della globalizzazione economica e alle sfide della modernità. Una condizione che spinge le persone a rifugiarsi sempre più in valori individualisti.

Perché Romano Prodi non ha convinto come avrebbe dovuto? E’ caduto nella trappola di questa società mediatica orchestarata da Berlusconi?

Prodi ha convinto esprimendo agli italiani la sua volontà di reinventare delle forme di solidarietà sociale moderna e di cttadinanza responsabile. Ha convinto mostrando l’importanza della ricerca e della “materia grigia” per l’avvenire del paese. Ma sul piano dell’imagine, questo è chiaro, Prodi non funziona, specialmente in una competizione mediatica fortemente stravolta dalle tecniche di marketing di Berlusconi. Quel che gli ha impedito di ottenere una vittoria più grande è il anche il fatto che la sua coalizione è molto eterogenea e che la sua unica missione era: finirla con Berlusconi. Inoltre Prodi si è battuto per un programma relativamente vago, che non forniva risposte precise sulle grandi questioni dell’economia, della ocietà, della politica estera proprio a causa delle divergenze in seno alla coalizione. Negli ultimi giorni della campagna, riguardo al probabile aumento delle tasse, il centrosinistra si è ritrovato sulla difensiva di fronte a un Berlusconi che non ha esitato a brandire il suo ultimo regalo elettorale: l’abolizione dell’imposta sulla casa. Non bisogna dimenticare che se il non ha mantenuto tutte le sue promesse, ne ha mantenute alcune, come l’aumento delle pensioni minime.

Quali saranno le grandi sfide del prossimo governo
Credo che ne siano tutti coscienti e per questo bisognerà andare oltre questa divisione di un’Italia spaccata in due a cui ha contribuito la nuova legge elettorale. Il compito più duro sarà riuscire a mettere fine a questa “guerra civile simulata” per poter rilanciare l’economia e ritrovare un clima di unità. Il primo test sarà a maggio, quando verrà eletto il prossimo Presidente della Repubblica. Sarà anche un esame di maturità per la classe politica italiana.

* da “Le Monde”