Ecco le liberalizzazioni: luce e gas, tariffe alle stelle

Blackout e fughe di gas, prezzi alle stelle e palazzine per aria, corsa del greggio e guerra del metano, un po’ di authority e un po’ di austerity. A scottarsi le dita con il capitolo “Energia” sono stati tutti, o quasi: cittadini, consumatori, sindacati, garanti. Persino ministri volenterosi di meno volenterosi governi. Il sogno impossibile? “Rivoluzionare” il mercato, aprirlo alla concorrenza, far calare le tariffe di luce e gas (tra le più alte in Europa), garantire la trasparenza e investire in infrastrutture, fonti rinnovabili e sicurezza. Ma tutto è cambiato per non cambiare. Almeno per ora, il “mostro” resiste. Il mostro a due teste, Enel ed Eni, divora tutto. E della fantomatica liberalizzazione non resta che la cenere di un monopolio surrettizio, che più di ieri pesa sulle tasche degli italiani.

Mercato e tariffe
Sono passati sette anni dal primo decreto Bersani (1999) che ha recepito la normativa europea sulla concorrenza del mercato energetico e aperto virtualmente le porte ad altri investitori, ma la situazione, fatti salvi alcuni decisivi passi in avanti sul fronte dei controlli su sicurezza e qualità di servizi, è ancora in pieno stallo. Da un monopolio di Stato e un prezzo amministrato si è passati a un monopolio di fatto e a un prezzo “controllato”. Con una serie di altre imprese a recitare il ruolo di comparsa, a fare il controcanto ai due giganti dell’energia. E grava il sospetto, per nulla infondato, che questa liberalizzazione a singhiozzo non abbia affatto sortito gli effetti desiderati a vantaggio dei cittadini, almeno in termini di tariffe.

Enel ed Eni, prima sotto diretta amministrazione pubblica, gestiscono tuttora quote di mercato inerodibli, configurando un’anomalia di mercato che genera una prima grande conseguenza: Enel ed Eni, negli spazi lasciati liberi dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas, “fanno” i prezzi. Di più: Enel ed Eni perseguono sinergie industriali che portano al reciproco, totale controllo di entrambi i mercati dell’energia elettrica e del gas (vedi Enel Gas e Eni Power), facendo piazza pulita dei competitors attuali o potenziali.

L’imbattibilità del “mostro” può essere letta da una duplice prospettiva: quella di una liberalizzazione mancata, o quella di una gestione pubblica dissimulata, scoordinata e inefficace. Fatto sta che oggi siamo ben lontani da quei “prezzi concorrenziali” che dovevano essere l’obiettivo principale del nuovo assetto del mercato energetico.

I costi medi italiani dei servizi rimangono più elevati rispetto a quelli europei. La differenza è pari al 20% nell’elettricità, mentre per il gas si aggira attorno al 6%. Per le famiglie con consumi medio alti, ha spiegato nella relazione annuale il presidente dell’Authority, Alessandro Ortis, i costi superano di oltre il 40% la media degli altri paesi.

Per il Codacons, alla fine del 2006, gli aumenti dei costi dei combustibili peseranno sulle famiglie italiane per 128 euro in più per luce e gas. Adiconsum e Adoc hanno ripetutamente proposto una riduzione dell’imposizione fiscale (che grava per oltre il 40% sulla bolletta del gas) e la deducibilità delle spese per benzina e luce. Secondo le stime dei Verdi, che oggi terranno un sit-in di protesta contro il caro bolletta, quest’anno gli italiani hanno speso quasi due miliardi in più per i consumi di gas e elettricità, pagando la tariffa più salata degli ultimi dieci anni. E per il prossimo trimestre sono in arrivo altri aumenti: +1,6% per energia elettrica e +0,3% per il gas.

E’ vero che l’andamento dei prezzi è gran parte condizionato dalla situazione internazionale: disponibilità della materia prima e corsa impazzita dei prezzi del petrolio e dei combustibili. Ma per quanto riguarda la vendita agli utenti finali, unica voce in cui le imprese hanno margini di manovra sulle tariffe, la competizione (laddove vi sia) non è mai sul prezzo, piuttosto sulla qualità dell’offerta. In una parola, come vedremo nei singoli casi del mercato del gas e dell’elettricità, la scelta dei consumatori della tariffa conveniente resta una scelta virtuale. E il risparmio inesistente.

Gas
Nella sua ultima relazione annuale, l’Autorità per l’energia elettrica e il gas, competente ad individuare per ogni trimestre i coefficienti tariffari e a vigilare sulla correttezza degli operatori, ha esibito un vero e proprio cahier de doléance sullo stato della concorrenza nel mercato del gas: l’Eni controlla l’84% del totale di produzione e approvvigionamento (l’85% dei consumi dipendono dalle importazioni di gas dall’estero), ed è proprietaria di tutte le reti di trasporto e della quasi totalità degli impianti di stoccaggio (Stogit, del gruppo Eni controlla il 98% dei depositi). In pratica, dice l’Authority, Eni «ha il controllo totale di tutte le fasi della filiera, comprese le infrastrutture di importazione, al quale si aggiunge la mancata trasparenza nelle condizioni di accesso praticate nelle medesime», il che determina «scarse possibilità di approvvigionamenti indipendenti».

Insomma, la fetta di mercato residuale riservata alle altre imprese è fatta di briciole lasciate da Eni, da cui le stesse imprese si riforniscono all’ingrosso.

Briciole, si intende, lasciate per legge: il decreto legislativo 164 del 2000 aveva imposto la cessione di quote di mercato e il divieto di oltrepassare la soglia del 50%. Un ibrido, appunto. Meglio, un ossimoro: una liberalizzazione “statalizzata”. La conseguenza è che il mercato non si è aperto a nuovi produttori, semplicemente si è ridotto, è stato imposto un ridimensionamento di Eni. Ma ciò non vale a cambiare le carte in tavola.

E il “cane a sei zampe” a più riprese è finito nel mirino dell’Antitrust per abuso di posizione dominante, fino alla memorabile stangata di febbraio: una maximulta di 290 milioni di euro per aver ritardato gli investimenti nei gasdotti tra Algeria, Tunisia e Italia abusando della propria posizione di monopolista nelle reti del gas. Intesaconsumatori stima che in virtù di tale condotta, nel biennio 2007-2008 si verificherà un mancato arrivo di circa 10 miliardi di metri cubi di gas e danni alle famiglie per circa 4 miliardi di euro.

E non è solo il mercato nazionale a soffrire di un’assenza di concorrenza: le multiutilities che gestiscono i servizi locali agiscono a loro volta come monopoliste sul proprio territorio. Il risultato è che il cittadino non si trova mai a poter scegliere realmente da quale impresa essere servito. Ciò è dimostrato dai dati dell’Autorità per l’energia e il gas, secondo cui appena lo 0,6% dei piccoli clienti finali, ossia con consumi di gas inferiori a 5mila metri cubi all’anno, ha cambiato fornitore. Cifre esigue anche per la classe intermedia (3,6%). Insomma la fascia principale dei consumatori, le famiglie, della fantomatica liberalizzazione non hanno avvertito alcun effetto: certo perché molti non sono al corrente della facoltà di cambiare gestore, ma soprattutto perché le offerte contrattuali alternative non propongono vantaggi tali da rendere conveniente il passaggio ad altro servizio. In altre parole, non c’è reale concorrenza di prezzo (la differenza massima non supererebbe i 3 euro al mese) e tutte le aziende si attestano sulla cifra di riferimento stabilita dall’Authority. Alla faccia del libero mercato.

Energia elettrica
Il problema del ruolo dominante di Enel nella generazione dell’energia elettrica, ed esclusivo per quanto riguarda la sua importazione, è stato risolto con una soluzione meramente quantitativa – ha denunciato Ires-Cgil nel rapporto dello scorso settembre – con il divieto di superare il 50% dell’offerta elettrica. Il risultato è stato che Enel ha ceduto a terzi impianti di modesta qualità, mantenendo il monopolio sugli impianti “mid-merit” e di punta. In sostanza, per quanto attiene al fabbisogno di energia, ci troviamo in una situazione in cui, soprattutto in coincidenza con una domanda elevata, il prezzo massimo lo fa sostanzialmente l’Enel.

Dall’aprile 2004 si è passati dal prezzo amministrato ad un prezzo stabilito dal mercato e dalla cosiddetta “borsa elettrica”, che oggi coesiste insieme al mercato “vincolato”. Ma anche la borsa elettrica, dove è collocato il gruppo Enel insieme ai suoi competitors, ha dato scarsi segni di funzionamento: la fluttuazione dei prezzi non pare seguire il reale andamento della domanda di energia e i valori medi riproducono livelli esattamente corrispondenti al livello del prezzo amministrato in vigore prima della liberalizzazione del mercato.

Gli operatori, cioè, sono in grado di controllare il valore di borsa. In una parola, e ancora una volta, non c’è reale concorrenza sui costi. Nei primi sei mesi di quest’anno i prezzi dell’elettricità contrattata sulla borsa elettrica italiana (Ipex) hanno registrato un incremento del 32% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Inoltre, come hanno denunciato i sindacati, la bassa efficienza del parco di generazione sommata al basso grado di competizione fa sì che i prezzi all’ingrosso siano nel breve periodo difficilmente comprimibili. A questo si aggiunga la scarsità degli investimenti in infrastrutture di trasporto che concorre a mantenere insicurezza (il blackout del 28 settembre 2003) e costo dell’energia elevato.

Ad aprile 2005 l’Antitrust ha avviato un’istruttoria nei confronti di Enel per presunto abuso di posizione dominante. La chiusura del procedimento, prorogata più di una volta, dovrebbe avvenire oggi: anche per il gigante dell’energia, insomma, ci sono guai in vista.