Ecco la truffa Tav: i privati sprecano lo Stato paga. Costo: 13 miliardi

Tredici miliardi di euro, tanto dovrà accollarsi lo Stato fin da quest’anno, per ripianare i debiti delle Ferrovie dello Stato e per farsi carico di tutti i costi delle infrastrutture ferroviarie, abbandonate dai privati dopo l’abbuffata della Legge Obiettivo. Sta scritto nella Finanziaria, in otto commi del maxiemendamento varato dal Senato e confermato dal voto finale della Camera. Tredici miliardi per rilanciare un’infrastruttura “promessa” agli italiani da Silvio Berlusconi e dal suo ministro Pietro Lunardi, fortemente contestata dalle popolazioni locali e, adesso che le società private partecipanti non hanno onorato i debiti con le banche e hanno contratto mutui atttraverso la società pubblica Infrastrutture Spa, è il popolo italiano, attraverso il suo governo, che dovrà farsene carico. Una volta di più. Poi c’è la questione Cip6, ovvero i fondi destinati alle energie alternative, che invece rischiano di finire nelle tasche dei petrolieri. E non sono gli unici svarioni contenuti nel maxiemendamento “monstre” che, in fretta e furia, ha dovuto tenere assieme un coacervo di norme che adesso il Consiglio dei ministri, con appositi decreti, dovrà correggere prontamente, prima che la stessa Finanziaria entri in vigore.

Oggi pomeriggio il Consiglio dei ministri dovrà approvare in quattro e quattrotto un decreto correttivo della Finanziaria, prima ancora che entri in vigore.
Riguarda in primo luogo l’abrogazione del cosiddetto “emendamento Fuda”, dal nome di un senatore dei Codacons che ha firmato una proposta per la prescrizione dei reati contabili della pubblica amministrazione.
«E’ chiaro che noi abbiamo una politica diversa rispetto a quanto è contenuto in quella norma, fondata sulla responsabilità di fronte al Paese di chi deve amministrare la cosa pubblica; una responsabilità aperta, chiara, trasparente», ha detto ieri il presidente del Consiglio Romano Prodi.
Una svista, uno svarione involontario, dicono nel centrosinistra; il tentativo di far passare nel calderone della Finanziaria un provvedimento impresentabile, obiettano dall’opposizione.
Adesso bisogna correre ai ripari con un decreto che ne invalidi “preventivamente” l’applicabilità e soprattutto la retroattività, che consentirebbe di cancellare in modo indiscriminato migliaia di pratiche pendenti avviate da privati cittadini e terzi danneggiati.
Va da sé che con la prescrizione dei reati amministrativi non si sarebbero soltanto cancellate le procedure burocratiche, ma soprattutto si sarebbero azzerate le azioni di risarcimento dei danni. Con un risparmio per le casse dello Stato di centinaia di milioni di euro; ed ecco spiegato il collegamento con la Finanziaria.
Ma ci sono altre tre-quattro “questioncelle” da rivedere. Di un paio abbiamo già scritto: i cento milioni di euro “elargiti” ai collegi privati e agli enti confessionali; i finanziamenti destinati allo sviluppo delle energie alternative (i Cip6) che per errore sono stati estesi alle “assimilabili”, provocando la protesta del presidente della Commissione Ambiente del Senato Tommaso Sodano.
Ci sono poi altri due punti “caldi”. Uno riguarda la Tav, quell’alta velocità contro cui intere popolazioni si sono sollevate, che si ripresenta in Finanziaria, esattamente ai commi dal 966 al 971, al 974 e 975, e nel 1364, ultimo del maxiemendamento. Riguardano la “Assunzione da parte dello Stato del debito di Infrastrutture Spa”, il “Canone per l’utilizzo dell’infrastruttura ferroviara Alta velocità/Alta capacità”, il “Contributo a Trenitalia Spa”, gli “Investimenti nella rete ferroviaria”, e gli “Interventi per infrastrutture ferroviarie”.
Vi si dice che «lo Stato si accolla direttamente tutti gli “oneri per capitali e interessi dei titoli emessi e dei mutui contratti“ dalle varie società che avrebbero dovuto finanziarie le diverse tratte della Tav» (assorbite prima da Infrastrutture Spa e da quest’anno dalla Cassa Depositi e Prestiti).
Quanto costerà questa operazione? Esplicitamente non viene detto, ma il Servizio Studi della Camera ricorda che Eurostat nel 2005 ha riclassificato le passività di Infrastrutture Spa sostenendo che «questa operazione comporterà un peggioramento dell’indebitamento netto della pubblica amministrazione di circa 13 miliardi».
E’ il “lascito” più pesante del governo Berlusconi, escogitato con la famigerata Legge Obiettivo per eludere i conti e qui recepito e assunto in carico. Ci si chiede: perché? Ed è difficile dare una risposta, dato che la Tav (come il Ponte sullo Stretto) avrebbe dovuto essere realizzata con la partecipazione maggioritaria (del 60%) di capitali privati.
Un altro punto, infine, riguarda il comma 466 del maxiemendamento che si intitola “Compensi di amministratori delle società non quotate partecipate dal Ministero dell’Economia”. Si tratta degli emolumenti dei supermanager di Stato che un fitto battage aveva indicato in 500 milioni di euro all’anno. Qualcuno ha detto: finalmente un tetto agli stipendi d’oro. Ebbene, quel tetto, non proprio infimo, è stato aggirato con un paio di paragrafetti che lo “aggiustano” verso l’alto.
Nelle schede di lettura del Servizio Studi della Camera viene spiegato che: «In particolare, si prevede che i compensi in questione non possano superare l’importo di 500.000 euro annui, “a cui potrà essere aggiunta una quota variabile, non superiore al 50% della retribuzione fissa”, da corrispondere al raggiungimento di obiettivi annuali».
In questo modo il tetto viene “aggirato” fino a 750.000 euro. E non basta. Lorsignori hanno anche reintrodotto per sè soli la famosa “scala mobile”. Si legge infatti che «gli importi saranno rivalutati annualmente, con un decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, in relazione al tasso di inflazione programmata».
Ecco serviti i lavoratori e, più ancora, i pensionati, che dal lontano 1983, perso il referendum sulla scala mobile, non hanno mai più visto una lira (un euro) di adeguamento di quello che allora era l’automatismo della “contingenza”.
I superburocratici invece si sono dati anche la rivalutazione del “soldo”: tra gli 8.500 e i 12.750 euro all’anno. Quanto il reddito di un precario dei call center o una pensione da mille euro al mese.