“Ecco la guerra: inutile e disgraziata”

«Voglio raccontare questa guerra inutile e disgraziata, combattuta da italiani che non si erano mai allontanati dai loro paesi e si ritrovarono sbattuti tra i ghiacciai della Siberia o in mezzo alle dune del deserto. Una guerra dichiarata dal grande statista Mussolini che entrò nel conflitto pensando di spartirsi il mondo con Hitler». Dopo La grande guerra Mario Monicelli racconta la fine dell´estate del 1940 quando, in un´oasi del deserto libico sperduta nel nulla, un reparto della Sezione Sanità aspetta con fiducia la conquista di Alessandria d´Egitto e il prossimo ritorno a casa, da vincitori. Il film, liberamente tratto – «Non ispirato, è una parola che mi fa sentire ridicolo» – dal romanzo di Mario Tobino “Il deserto della Libia” si intitola Le rose del deserto, è prodotto dalla “Luna Rossa” di Mauro Berardi e sarà distribuito dalla Mikado.
Le riprese cominceranno il 24 aprile in varie località della Tunisia. «La Libia è un paese poco attrezzato per il cinema e non si sa mai bene cosa c´è nella testa di Gheddafi. E comunque non c´è differenza, il deserto è uguale ovunque, come il mare», dice il regista che, subito dopo aver votato, è partito per la Tunisia per gli ultimi preparativi. Ci resterà nove, dieci settimane e nel deserto festeggerà il compleanno, 91 anni il 15 maggio. «Festeggiare? Ma per carità, è solo un passaggio della vita, ce ne stati troppi e spero che altri ce ne saranno, ormai non si festeggiano più».
Lei parla spesso dei privilegi dell´età…
«Sono libero, non ho condizionamenti. Sono sempre stato uno che o taceva o diceva le cose che pensava. Arrivato alla mia età mi sento liberissimo di dire qualunque cosa a chiunque, anche di fare lo spiritoso senza danno, anzi mi stanno a sentire anche con un certo rispetto. Mi creo nemici? E che possono farmi? Non possono mettermi in galera e neanche togliermi la pensione: vivo in uno stato di grazia».
Conosceva Tobino?
«Come scrittore lo conosco da anni. Era di Viareggio, mio concittadino, non eravamo proprio amici ma ci frequentavamo, ha scritto libri di grande qualità. “Il deserto della Libia” lo ha scritto sulla sua esperienza, quando fu mandato a dirigere un´unità sanitaria».
Lei che esperienza ha della guerra?
«Sono partito nel ´40, ero in cavalleria, ho fatto la guerra dei Balcani, avrei dovuto andare in Libia, ma è arrivato l´8 settembre. Conosco le situazioni, conosco quei ragazzi partiti per conquistare il mondo e finiti travolti in un casino, mal guidati, male equipaggiati, gli equipaggiamenti erano quelli della prima guerra mondiale, ai ragazzi nell´afa del deserto per Natale mandarono maglio, grappa e berrettoni da montagna. E conosco anche la Libia, c´ero stato come assistente di Genina nel ´36 per Lo squadrone bianco, allora gli italiani si sentivano colonizzatori, ma so come vivevano i colonizzati».
Come racconta la guerra?
«Non con scene spettacolari all´americana, ma vedremo i morti, i feriti, gli effetti delle bombe. Una dimensione minore della guerra, ma più tragica e credibile. Gran parte del film sarà nelle retrovie, nell´atmosfera di inutile attesa e di speranze che lentamente sfumano, quando alle notizie trionfali che arrivano dall´Italia si sovrappone la realtà, i trasferimenti continui, le fughe, l´ammassarsi dei feriti. Ci sono i rapporti tra i personaggi, non c´è una vera trama, è come sabbia sulla sabbia. Il nemico non si vede mai, si vedono solo gli incontri con i tedeschi».
Ci sono riferimenti ai conflitti di oggi?
«La stupidità della guerra è la stessa, per gli italiani era ancora più stupida. I nazisti almeno avevano una loro logica, sia pur aberrante, ma Mussolini che pensava di fare? Ma la razza dei cretini non si esaurisce mai, anche il finale da cretino, beccato in fuga con l´amante. E la storia si ripete, Bush con i suoi interventi militari ha i suoi scopi ignobili e furbi, ma Berlusconi che vuole seguire le sorti degli yankees è ridicolo. Un cretino e basta. È vero che siamo coglioni, ma lo siamo stati quando gli abbiamo dato la maggioranza».
Chi sono i personaggi di Le rose del deserto?
«C´è un maggiore medico mezzo matto, Alessandro Haber, un intellettuale che non sa nulla della guerra, passa il suo tempo a leggere libri di poesie. Giorgio Pasotti è un giovane tenente inesperto, nutrito di racconti eroici, che scopre brutalmente la realtà. Molti dei soldati non sono attori, ho trovato un panettiere per fare un sardo che ha una storia con un tedesco, è un personaggio che ho rubato a Giancarlo Fusco. E ho inventato un frate che capita in mezzo alla guerra ed è molto divertente, ha una visione complessa e varia di Dio, quasi laica. È Michele Placido, che sta diventando sempre più bravo. Anche troppo. Rischia di diventare un barone».
I toni saranno quelli di La grande guerra?
«C´è la tragedia, ma anche l´ironia e il sarcasmo, che è anche nel libro di Tobino. Voglio fare un film non di orrore ma di vita. La grande guerra è diventato un classico, e pensare che quando uscì fu definito la vergogna dell´Italia. Di film “contro” ne ho fatti diversi, come I compagni, L´armata Brancaleone, Speriamo che sia femmina. Ho rovesciato immagini di attori, Gassman con I soliti ignoti o la Vitti che viveva attaccata alle tende del cinema pensoso di Antonioni».
Sarà un film difficile, che cosa la spaventa di più?
«Temo il clima, le scene delle battaglie, tutti gli spostamenti che dobbiamo fare. Ma la cosa che mi spaventa davvero è il rapporto tra il giovane tenente e una ragazza berbera, l´unico personaggio femminile sullo schermo, le madri e le mogli sono evocate. Tra loro nasce una cosa sottile, delicata, non vorrei che fosse inutile o semipornografica. Non mi piacciono le scene d´amore, non le so girare, soprattutto quando c´entra il sesso».