E Vicenza urla “Yankee go home”

Doveva essere il giorno della città blindata e della doppia manifestazione, ma a Vicenza, ieri, ha sfilato solo il fronte del «no». E lo ha fatto pacificamente, seppure sotto ampia scorta e senza poter arrivare in gruppo, come avrebbe voluto, fino all’obiettivo principale: il grande palcoscenico politico ed economico offerto dall’inaugurazione della fiera Vicenza Oro. Intorno al raddoppio della base americana della Caserma Ederle, però, la tensione è ormai altissima.
I favorevoli alla trasformazione dell’aeroporto Dal Molin in succursale della Ederle, ieri hanno invece rinunciato alla loro manifestazione, per la quale avevano chiesto l’autorizzazione dopo quella presentata dal fronte del no probabilmente solo nella speranza che due cortei venissero considerati eccessivi, con il conseguente annullamento di entrambi. L’autorizzazione, invece, è arrivata per tutti, ma alla fine solo il «no» è sceso in piazza. Ha cercato di arrivare fino ai ai padiglioni della Fiera dove erano riunite le autorità per il taglio del nastro, ma si è dovuto accontentare di una delegazione: il Comitato che chiede un referendum per venire a capo della decisione ha consegnato un documento, in cui spiega le ragioni del rifiuto e rilancia nuove ipotesi di investimento per far crescere la città senza la presenza degli americani.
«Vicenza è d’oro anche senza marines», «Vicenza città di pace»: due tra le tante scritte che si leggevano su striscioni e cartelli portati dai manifestanti (non più di 400 secondo le fonti ufficiali, oltre il doppio secondo gli organizzatori); per tutti, la certezza che il conto alla rovescia verso la decisione è ormai quasi compiuto. Gli americani hanno lanciato il loro ultimatum: è il 19 gennaio. Sarà possibile venire a capo, in cinque giorni, di una questione che da mesi divide la città e non solo?
Il raddoppio della base Setaf porterebbe gli americani a trasferire a Vicenza l’intera 173a brigata aviotrasportata: ai 2600 militari già presenti alla Ederle, se ne aggiungerebbero entro il 2010 altri 1800. Se si pensa che l’indotto della presenza attuale degli americani per la città è di 200 milioni annui, si capisce perché gli imprenditori e in genere tutte le categorie produttive siano a favore dell’ampliamento. In prima fila, naturalmente, i 748 dipendenti civili italiani, che perderebbero il posto di lavoro: ma Vicenza, dicono dal fronte opposto, con la sua fiorente economia sarebbe ben in grado di riassorbirli.
In Comune dice sì la maggioranza, retta dal centrodestra con a capo il sindaco di Forza Italia Enrico Hullweck, mentre dice no in coro tutto il centrosinistra. Tace la Lega, che non appare però così favorevole, e a destra ci sono più dissidenti che a sinistra. Il consiglio comunale, d’altra parte, si era già espresso a favore e la ventilata ipotesi di un referendum era stata accantonata in fretta. Adesso viene rilanciata ma tra i primi a bocciarla è il governatore del Veneto, Giancarlo Galan, che ieri proprio da Vicenza Oro ha ricordato che una simile decisione deve spettare al governo, non certo all’amministrazione della città e tanto meno ai comitati.
Gli americani, da parte loro, usano il pugno di ferro, e se non sarà concesso l’ampliamento per la base sull’area Dal Molin, si dicono pronti ad andarsene e a portare truppe, mezzi e indotto in Germania, dove verrebbero accolti a braccia aperte e con uno stanziamento di un miliardo di euro per coprire ogni possibile esigenza. «L’economia di una caserma è statica, antistorica, anacronistica, lo sviluppo è tutt’altra cosa, significa ricerca e innovazione – dice il presidente del Comitato promotore del referendum, Giancarlo Albera – L’occupazione si difende creando posti di lavoro, non ampliando strutture militari in terreni che poi resteranno occupati per un centinaio d’anni».
A complicare ulteriormente il quadro, si aggiunge infine l’ipotesi lanciata dall’assessore regionale Renzo Marangon, che candida l’ex base di Zelo, in Polesine in provincia di Rovigo, come alternativa a Vicenza; il governatore Galan l’appoggia «perché il Veneto non vuole in nessun caso apparire come terra ostile al nostro storico alleato. La giunta regionale è a favore della permanenza degli americani nel Veneto». Niente più che una provocazione, ma quanto basta per scavare ancora di più il solco: cinque giorni, appare chiaro, non potranno davvero bastare per chiudere il caso-Ederle.