La marea di magliette rosse che hanno manifestato in suo favore, non è bastata a Hugo Chávez per poter far passare la sua proposta di una nuova costituzione, un complesso e interessante progetto di riforma dell’organizzazione dello Stato che i nostri mass-media liquidavano come un’astuta manovra del “caudillo rosso” per rimanere al potere per l’eternità. Invece la costituzione prevedeva finalmente, per il disgraziato Venezuela, disorganizzato e rapinato per decenni senza che l’opinione pubblica europea battesse ciglio, una serie di misure per modernizzarlo, organizzarlo, ordinarlo e, finalmente, liberarlo dalla soggezione ai paesi e ai poteri forti per avviarlo a quel “Socialismo del secolo Ventesimo” che per alcuni è una delle trovate dell’ex-paracadutista e per altri è la speranza che sia ancora possibile stabilire semplici norme di giustizia ed equità fra esseri umani. Norme basate su semplici constatazioni come quelle che ha fatto il Presidente Evo Morales a Roma, davanti agli studenti dell’Università della Sapienza, quando ha affermato che se la Bolivia, con undici milioni di abitanti e una ricchezza di materie prime –dallo stagno agli idrocarburi, all’acqua- è uno dei paesi più poveri d’America, è segno che qualcosa non va. E se il Venezuela, con l’immensa ricchezza che gli deriva dal petrolio, ha ancora una popolazione in gran parte analfabeta, indocumentata e miserabile, è ovvio constatare che qualcosa non va. E quando questi sorprendenti e stimolanti (ma per alcuni, preoccupanti) nuovi capi di stato latinoamericani, indagano sul perché di questa arretratezza e di questa contraddizione e risalgono al loro passato di paesi conquistati, colonizzati e poi neocolonizzati,, è scandalo.
Il dodici ottobre cade l’anniversario della “scoperta” dell’America: in quella ricorrenza, da diciassette anni, la Spagna –che dal tempo di Franco celebra, con un termine davvero infelice, “la giornata della razza”-, morto il dittatore ha avuto l’idea di dar vita a un Vertice Iberoamericano insieme al Portogallo, in cui si riuniscono tutti i paesi dell’America Latina di colonizzazione iberica. Poteva sembrare una bell’idea per discutere progetti e problemi comuni, specialmente adesso che in Spagna governa il socialista Zapatero e in America Latina, dal Cile all’Ecuador, dall’Argentina al Brasile, dal Venezuela alla Bolivia e al Nicaragua, governano dei presidenti che sono o si dicono di area progressista. Tanto più che questo Vertice, fin dal suo primo incontro in Colombia diciassette anni fa, ha finalmente invitato la reietta ed emarginata Cuba mentre gli Stati Uniti, che da secoli fanno il bello e il cattivo tempo nel sub-continente, restavano fuori da questo grande incontro continentale basato sul presupposto di una comunità di lingua e cultura e sulla speranza di un muto appoggio. La Spagna si è buttata a pesce sulle sue antiche colonie con le sue banche, le sue imprese multinazionali per lo sfruttamento del gas, degli idrocarburi, dell’elettricità, della telefonia, del turismo, con i suoi cooperanti, con le Ong. Risultato: una neocolonizzazione del territorio.
Adesso che questi nodi vengono al pettine, invece di invertire la rotta rispetto alla sfacciata ostilità del Governo Aznar –scandalosamente vicino alla politica internazionale di Bush- , il socialista Zapatero ricorda ai Presidenti che l’umanità è progredita grazie ai principi diffusi dalla Rivoluzione Francese –che è europea- e della dottrina di Marx –che è europeo.
Solo a questo punto Chávez ha interloquito per ricordare che l’America latina ha anche le sue ragioni per non ammirare incondizionatamente la vecchia Europa: per non andare tanto lontano, basta ricordare quello che Aznar ha fatto quando era il capo del Governo spagnolo e continua a fare oggi. “Aznar è un fascista” –ha detto Chávez con la stessa innocenza con cui il bambino della favola dice: “Il re è nudo”. Zapatero, come è noto, ha invitato il collega venezuelano a rispettare un capo di governo eletto dal popolo spagnolo mentre il Re di Spagna (già, perché la Spagna moderna e imprenditrice è ancora una monarchia), irritato, se ne usciva con quella frase infelice sulla quale ha ricamato tutta la stampa. Pochi, invece, hanno raccontato la reazione degli altri capi di Stato, da Ortega a Lage a Morales a Correa che non sono stati zitti ed hanno replicato alla coppia Zapatero-Juan Carlos, incredibilmente impegnati a difendere il fascista Aznar e l’onore della Spagna!
Quell’episodio dell’ottobre scorso, che ha dato a giornali e televisioni lo spunto per gettare addosso a Chávez la croce di rozzo, irrispettoso e prepotente, quando erano stati i due spagnoli ad interromperlo, è oggi smentito dalle parole con cui ha accettato la sconfitta di un referendum a cui teneva moltissimo e che lui stesso aveva detto che sarebbe stato per lui o contro di lui.
Da questa sua prima sconfitta nelle urne in nove anni, Chávez non si è lasciato avvilire: “Por ahora no pudimos”, non ce l’abbiamo fatta ancora, ha detto, a fare una nuova distribuzione delle terre, a mettere in discussione l’autonomia della Banca Centrale, a far votare a sedici anni, a ridurre l’orario di lavoro, a ristrutturare la megalopoli Caracas. E’ stata una lunga battaglia che non si sarebbe potuta accontentata di una vittoria di Pirro. L’opposizione, fino ad ora così violenta e radicale, accoglierà l’invito del Presidente a non fare salti nel vuoto e a lasciar stare la strada della destabilizzazione e della violenza? Nel gioco democratico si vince o si perde ma forse Chávez riuscirà a trasformare questa sconfitta in vittoria.