La saga della portaerei «Clemenceau» (TerraTerra, il manifesto, 14 gennaio) è ancora lontana dalla conclusione. La vecchia nave, a lungo fiore all’occhiello della marina militare francese, che dopo il disarmo nel ’97 è servita fino al 2002 solo più come fonte di pezzi di ricambio della sua nave sorella «Foch» (venduta al Brasile) è riuscita finalmente ad entrare nel canale di Suez dopo molti giorni di anticamera, grazie a un bakshish (200mila dollari più della tariffa di transito abituale) versato dalla Francia all’Egitto, trainata da un rimorchiatore olandese guidato un capitano russo dal nome evocatore, Sergej Potemkin. Resta l’incognita dell’ultima destinazione: l’India deciderà il 13 febbraio con una sentenza della Corte suprema, che già il 6 gennaio scorso aveva emesso parere negativo. Il problema della Clemenceau è il veleno che porta nelle viscere: un’enorme quantità di amianto. In India, ad Alang, nel Gujarat, la «Clem» avrebbe dovuto essere smantellata, per recuperare l’acciaio, che ha un valore di mercato (anche se nella fattispecie non dovrebbe superare gli 8 milioni di euro). Ma Greenpeace ed altre organizzazioni che da anni si battono per sfondare il muro di silenzio che circonda anche in Europa lo scandalo centenario dell’amianto, come il Comitato anti-amianto Jussieu, sono riuscite a sollevare proteste, non solo in Francia ma fino in India, dove c’è stata una manifestazione contro l’arrivo della Clem di fronte all’ambasciata di Francia a New Delhi.
Greenpeace sostiene che il viaggio della Clem infrange la Convenzione di Basilea, che impone ai paesi Ocse di trattare in casa i rifiuti tossici. Il ministero della difesa francese oscilla nella risposta: ha sostenuto che la Clemenceau, in quanto nave militare, non è sottoposta alle regole della Convenzione di Basilea e poi ha affermato che sono stati realizzati a due riprese dei lavori di de-amiantaggio. Ora ci sarebbero sulla Clem solo più 45 tonnellate di amianto, cioè lo 0,2% del peso totale, dopo il ritiro di 115 tonnellate sulle 160 che erano presenti. Il governo francese ha offerto di riprendersele e riportarle in Francia per lo smaltimento: ma persino una delle società che sono intervenuta sulla Clem, la Technopure, sostiene che ci sono 500-1000 tonnellate di materiale contaminato che viaggiano sulla Clem.
Per Pascal Hunting, di Greepeace France, siamo di fronte «a un caso emblematico, con un’economia mondializzata che impone ai paesi del sud gli effetti nefasti delle nostre economie del nord. Nei prossimi anni, ci sarà un afflusso enorme di navi come questa, piene di amianto, che vogliamo spedire verso dei siti che non sono per nulla preparati a decontaminare secondo le norme dell’Unione europea. E’ un vero e proprio caso di doppio standard».
Cent’anni di guai in Europa
Oggi è la salute degli operai indiani a correre dei rischi. Ma per più di cent’anni è stata quella degli operai e degli abitanti europei, che avevano a che fare con la produzione di amianto. In Francia ora qualcosa si muove, ma con estrema inerzia: nel dicembre scorso, per la prima volta, un procuratore ha aperto spontaneamente un’inchiesta giudiziaria per le vittime dell’amianto, mentre le denunce sporte a Dunkerque da ex operai malati di cancro alla pleura o dalle loro vedove si erano concluse con un «non luogo a procedere». Le «vedove di Dunkerque» sono riuscite a sensibilizzare l’opinione pubblica sfilando in silenzio ogni tre giorni, dal novembre 2004, attorno al tribunale della loro città che aveva respinto la denuncia.
L’Andeva (Associazione nazionale vittime dell’amianto) ha chiesto al ministero degli interni, Nicolas Sarkozy, di istituire una «cellula amianto» per istruire i numerosi casi di malattia, un vero e proprio caso di salute pubblica. Le cifre in Francia sono spaventose: tremila morti l’anno attualmente, cioè 10 al giorno, con previsioni che vanno fino a 100mila morti per amianto entro il 2025 (ma un recente studio parla di 200mila), con una punta prevista verso il 2015, visto il lungo tempo di latenza delle malattie polmonari causate dall’amianto. In Europa i morti potrebbero essere 500mila.
Un’ecatombe a cui ha partecipato in prima persona uno dei fiori all’occhiello dell’industria francese ed europea: la Eternit. La forza di Eternit spiega anche come la Francia sia stato uno degli ultimi paesi europei a mettere al bando l’amianto, decisione diventata effettiva solo dal 1° gennaio ’97. Nel giugno 2003 è stata anche scoperta una lapide alle vittime dell’amianto, a Thiant, a lungo sede sociale di Eternit: «A voi, che avete respirato l’aria che l’amianto ha avvelenato, a cui il pericolo è stato nascosto, che dopo terribili sofferenze prematuramente ci avete lasciati. Per non dimenticarvi mai».
Nel `91, la Francia è ancora il primo paese importatore di amianto in Europa, il quinto nel mondo, con 21 siti in attività che trattano ogni anno 35mila tonnellate del «materiale magico», che ha per più di un secolo affascinato industriali e costruttori.
L’amianto, conosciuto fin dai tempi dell’antichità (le vestali dell’antica Grecia utilizzavano l’asbesto, che significa in greco «materia che non si consuma», Marco Polo nel 1520 parla di un lenzuolo magico incombustibile visto in Siberia), comincia ad essere estratto in modo industriale nelle miniere australiane, canadesi e brasiliane verso il 1860. Prima utilizzato nel tessile, si estende poi all’industria del fibrocemento per fare tegole, tubi, rivestimenti. Negli anni ’30 conquista i cantieri navali, dagli anni `50 si diffonde in modo massiccio come isolante termico; Edf ne fa il prodotto di punta come ignifugo per le sue centrali termiche, la Sncf lo utilizza fino al `77 per isolare i vagoni ferroviari, l’industria automobilistica vi fa ricorso per le guarnizioni.
Nel 2002 la Normandia, dove è nata la Eternit, concentrava il maggiori numero di malati di amianto certificati dalla Sécurité sociale, il 20% (mentre rappresenta solo il 5% della popolazione francese).
Danni di guerra
Eternit nasce nella regione Nord, fondata nel `22 da una dinastia industriale (presente nello zucchero), i Cuvelier d’Haussy, che approfitteranno dei danni di guerra incassati dalla Germania per lanciare la nuova produzione. Nel `22 Joseph Cuvelier si associa con il detentore del brevetto belga, Jean Emsens, che gli porta in dote il marchio Eternit. Il brevetto di fabbricazione dell’amianto-cemento era stato depositato alla fine del XIX secolo da un austriaco, Ludwig Hatschek e già dal 1906, in Italia, a Casale Monferrato, c’è una fabbrica dove vengono fabbricati a mano dei tubi. E sarà qui che nel 1913 verrà introdotto il «sistema Mazza», un nuovo procedimento brevettato per produrre tubi all’amianto. La Eternit francese comprerà nel `28 il brevetto di Mazza per la costruzione di tubi.
La produzione aumenta vertiginosamente tra le due guerre, Eternit attraversa senza danni la crisi del `29 e nel secondo dopoguerra l’esplosione della domanda, dovuta agli ambiziosi programmi immobiliari, con tassi di rendimento del 120%. L’euforia degli anni `55-’75 porta a quintuplicare la produzione. In Francia il punto culminante di importazione di amianto sarà il `74, con 178mila tonnellate: fra il `45 e il `96 ne verranno importati 75 chili per abitante. Nel ’96, vent’anni dopo le precise denunce dei rischi (del resto conosciuti da cent’anni) c’era in Francia ancora un consumo di 450mila tronnellate di materiali edilizi contenenti amianto. Fino a 14.500 persone lavoreranno negli anni di gloria dell’amianto a fabbricare più di tremila diversi prodotti che usano questo materiale.
Eternit crea il mercato di questa novità, sconfiggendo i giganti della siderurgia e facendo ricorso ante litteram a tecniche di pubblicità e di corteggiamento intensivo di architetti e costruttori. In Francia forma un duopolio con l’altro gigante del settore, la Pont-à-Mousson (oggi Saint Gobain, già secondo produttore mondiale, dopo Eternit).
Eternit, fabbrica paternalista, si trasforma poco per volta in multinazionale: accordi con le altre Eternit europee, insediamento in Marocco, Algeria, Brasile, Costa Rica, India (dove viene fondata la filiale Eternit Everest). In tutto Eternit è presente in 23 paesi di tutti i continenti, in particolare nel terzo mondo dove l’amianto non è proibito. Ancora oggi le otto società Eternit europee sono unite nella Saiac, un’associazione che permette scambi tecnologici e lavoro di lobbying, anche se l’Europa ha abbandonato l’amianto e hanno dovuto riciclarsi in materiali plastici (una direttiva europea del `99 proibisce commercio e uso di amianto nell’Unione a partire dal 1° gennaio 2005). Un’analoga proibizione non esiste dappertutto e mentre Saint Gobain ha di recente rinunciato a sfruttare il «materiale magico», Eternit continua a fabbricarlo in Brasile e a spedire il suo veleno in Asia, America latina, Africa.
Pochi scioperi
Nella fabbriche Eternit si è sempre scioperato poco, a parte le eccezioni del `38 e del ’68: i salari sono sempre stati abbastanza elevati e il paternalismo ha fatto il resto. Oggi un operaio ricorda che «c’era sempre una corona della Eternit al funerale di un ex dipendente morto di cancro», l’azienda dava gratis alle famiglie degli operai i resti di amianto-cemento perché li usassero per ristrutturarsi casa.
E’ solo nel `73 che la Eternit comincia ad accettare di affrontare la questione delle malattie causate dall’amianto. Ma all’interno delle fabbriche non ci sono grandi cambiamenti: fino agli anni `80 l’amianto viene trasportato in sacchi di juta, senza chiusura stagna, gli operai ricordano che uscivano dalla fabbrica con i vestiti bianchi di polvere, che erano obbligati a sospendere sovente il lavoro per «respirare» fuori dal sito, che le auto posteggiate vicino erano anch’esse tutte bianche a fine giornata. Sarà solo una trasmissione tv del `95 («Envoyé spécial», France 2) a sensibilizzare la popolazione sui rischi dell’amianto, pur se già nel `77 un libro scritto dai ricercatori dell’università parigina di Jussieu (sito ora in via di de-amiantaggio), «Danger! Amiante» aveva rivelato lo scandalo silenzioso. Da allora, le testimonianze degli operai cominciano ad essere raccolte. Nel `95 esisteva ancora la discarica con i resti della lavorazione dell’amianto a Prouvy, sede della prima fabbrica Eternit, utilizzata dal `22. Prima di essere obbligata a fare dei lavori di risanamento, la Eternit riceve nell’85 addirittura il premio di « tecnologia pulita » dal ministero dell’ambiente francese.
Anche se l’asbestosi è riconosciuta malattia professionale nel `47, fino al `76 tocca al lavoratore fornire almeno tre «prove» diverse per essere dichiarato malato. Nel 2000, il tribunale di Douai riconosce «la colpa inescusabile di Eternit». Ma ancora oggi il Fondo di indennizzo per le vittime dell’amianto (Fiva) versa i contributi col contagocce e dal 2004 nessuna nuova impresa viene presa in considerazione da questo fondo. A fine 2002, su 1969 domande di indennizzo solo 370 erano state recepite, mentre le vittime sono migliaia.