Milioni di donne e di uomini senza diritti: sono quelli fotografati dal rapporto Ires cui il manifesto ha opportunamente concesso ieri spazio e attenzione. Dei «precari» si occupa quasi ogni giorno l’XI Commissione permanente della Camera, sul lavoro pubblico e privato; e sull’impegno nei confronti del multiforme universo composto da oltre quattro milioni e mezzo di persone (in parte contrattualizzate e in parte no, collocate sia nel pubblico come nel privato) non può che caratterizzarsi un’istituzione parlamentare che co-determina i percorsi legislativi rivolti a milioni di persone in carne ed ossa. Il motivo è semplice, ed è stato sottolineato dall’esito della ricerca Ires: la precarietà è un’emergenza da indagare a fondo per offrire alla politica strumenti efficaci utili a dare risposte.
Proprio in queste settimane sono in corso audizioni e sopralluoghi nell’ambito di un’indagine conoscitiva sul precariato in Italia, disposta dalla Commissione Lavoro e che si concluderà attorno alla metà di aprile. Si tratta di intervenire su un ventaglio di casistiche, non tutte adeguatamente conosciute e monitorate: si parte dai precari «tipici», ossia contrattualizzati a tempo determinato, si continua con i cosiddetti «co.co.co.», con quel «popolo delle partite Iva» affiancato da figure contrattuali più recenti come i «co.co.pro.»: figure molto spesso (quasi sempre) assolutamente subordinate e con pochissimi diritti per quanto mascherate da «autonome». Al precario sono precluse tutele, impedite retribuzioni dignitose: alcune tipologie subiscono addirittura lo scardinamento del rapporto tra prestazione e retribuzione. Ma è l’entità del fenomeno ad aver consentito di accendere i riflettori; un fenomeno che non si può derubricare tra le conseguenze del puro e semplice berlusconismo. Troppo comodo. E’ piuttosto una questione datata dieci-quindici anni, poi esasperata fino a divenire un dramma di massa avallato da settori dell’apparato industriale in pieno declino. Perché il sistema delle imprese si è troppo spesso adagiato sulla condizione insostenibile di milioni di persone, scegliendo di stare nel mercato e nella competizione contenendo semplicemente i costi (primo fra tutti quello del lavoro), senza investire in innovazione e ricerca.
Dalla ricerca è emerso un dato non a tutti conosciuto: non è affatto vero che l’aumento della flessibilità abbia consentito di far emergere il lavoro nero. Anzi. E tra le pieghe di questa dinamica si intuisce la connessione tra la lotta alla precarietà e l’impegno fattivo per una legislazione del lavoro più rispettosa dei diritti e di chi insegue un lavoro stabile. Ed esattamente su questa scia è stata concepita la proposta di legge recentemente depositata in Parlamento – grazie all’importante supporto del professor Alleva – che si è posta fin dal titolo la priorità assoluta di realizzare «norme per il superamento del lavoro precario»: tredici articoli sottoscritti da parlamentari del Pdci, del Prc, dei Verdi, di importanti esponenti dei Ds che entrano nel merito di un dramma sociale e contribuiscono a dare una prospettiva unitaria alla sinistra. Prospettiva che sarà tanto più forte quanto saprà porre in sinergia istituzioni e movimenti. A partire dai contenuti: l’unica bussola verso la «svolta».
*Deputato Pdci, Presidente della Commissione Lavoro della Camera