E ora scoppia la grana dei lavori pubblici

Sulla cura dei conti pubblici il governo, nella persona del ministro dell’economia, Tommaso Padoa Schioppa, si sta muovendo tra due tagliole pronte ad addentarlo. Per un verso non deve – e quindi non vuole – far capire dove si abbatterà la scure dei tagli di spesa; per l’altro deve esser certo che tutti capiscano che la coperta è più corta del solito e che non c’è più margine per accontentare nessuno. A scompaginare un gioco già abbastanza difficile c’è poi il management di molte società sotto controllo pubblico, nominato dal precedente governo e che spesso sembra agire cercando di sgambettare in ogni modo quello attuale. Anas è Ferrovie dello stato sembrano al primo posto in questa particolare graduatoria dei «guerriglieri» azzurri.
Nel gioco il governo di centrosinistra però di perdere l’appoggio della propria base (popolare e parlamentare). E’ ormai abbastanza chiaro, infatti – grazie al pressing rivelatore della stampa confindustriale, Sole24ore e Corriere della sera in testa – che le forbici caleranno in modo pesante sui «soliti noti»: sanità, pensioni, pubblico impiego ed enti locali. Politicamente sarebbe un suicidio anche per un governo eletto con una maggioranza ampia; per questo… Ma rischia anche di scomparire, entro il 7 luglio, quella promessa di non ripetere una «politica dei due tempi» – prima i «sacrifici», poi lo «sviluppo» – che doveva caratterizzare la politica economica del nuovo esecutivo. I sacrifici, infatti, hanno un bersaglio sociale sempre più chiaro; mentre le «misure per lo sviluppo», da quel che trapela, sono ridotte agli sgravi per le imprese (a cominciare dall’ormai mitico «cuneo fiscale»). Quasi una provocazione per la sinistra radicale.
Intanto i «guerriglieri» azzurri sono al lavoro. Quelli dell’Anas, l’altro ieri, hanno dato mandato al loro amministratore delegato, Vincenzo Pozzi – ingegnere, ex a.d. della Rav spa, società che riceve concessioni e commesse dall’Anas e che a sua volta ne affida parti rilevanti alla Rocksoil (di proprietà della famiglia dell’ex ministro Lunardi) – di avviare le procedure per la sospensione dei lavori in corso a partire dal mese di luglio. Decisione che ha sollevato ovviamente preoccupazione di molti enti locali (come quelli di Roma, minacciati dal blocco dei lavori sul raccordo anulare) e la condanna di Legambiente, che accusa l’anas di aver «usato malissimo i fondi pubblici», mostrato «ogni genere di inefficienza nella gestione dei cantieri di manutenzione», senza neanche ottemperare ai «compiti di controllo nei confronti dei concessionari autostradali».
Sono in agitazione i sindacati: «se nei prossimi giorni non arriverà un segnale dal governo siamo pronti alo sciopero», ha detto Mauro Macchiesi, segretario nazionale degli edili Cgil, paventando il licenziamento di 100.000 lavoratori impegnati nei cantieri. Ma anche il ministro delle infrastrutture, Antonio Di Pietro, ne approfitta per bussare esplicitamente cassa al suo collega di via XX settembre: «a fine mese l’Anas non può pagare gli stipendi. Ci vogliono 5 miliardi per le strade e altrettanti per le ferrovie». Dopo di che, nel pomeriggio, ha voluto rassicurare tutti che «stiamo aspettando che arrivino i soldi, perché non vogliamo bloccare i cantieri».
L’allarme è insomma strillato ad altissimo volume, ma un po’ sospetto. Lo suggerisce anche il senatore diessino paolo Brutti, secondo cui «c’è un elemento di strumentalità evidentissimo, allo scopo di far pressione sul governo in vista della manovra che deve essere compiuta».
In questo quadro appare surreale e vagamente comica la volontà di procedere alla costruzione della Tav in Val di Susa (il cantiere-pilota è stato peraltro smantellato proprio questa settimana). Sia il ministro Bianche che Di Pietro si sono espressi in questo, assicurando – l’ex pm – che «ci sono i fondi europei». Un solo miliardo di euro per un’opera che ne costerebbe come minimo 30? Non sembra una mossa economicamente saggia, di questi tempi.
Però questo è il governo. Stretto tra un’eredità di sfascio, pressato dai «poteri forti» perché a pagare il conto sia chi ha sempre pagato i «risanamenti», e che pressa a sua volta il sindacato. A sia volta diviso tra il ruolo politico generale – quando chiede «equità e rigore» – e quello categoriale-aziendale, che chiede finanziamenti immediati per cantieri che a volte servono, ma altre no. Se i nodi non vengono sciolti presto e con chiarezza, sarà dura arrivare fino in fondo.