E nel fortino vuoto dei vinti urla solo Cremaschi: è una truffa

Nell’informale pomeriggio della Fiom l’unica voce che si fa sentire è la solita, questa volta decisamente stentorea. Urla, Giorgio Cremaschi. «Se gli altri stanno zitti sono affari loro, io parlo» dice tirando una manata sulla scrivania. Una sostenitrice gli porta i titoli dei principali siti di informazione, «welfare, il sì è all’82 per cento», «Referendum, vittoria netta del sì», ed i corridoi del fortino di corso Trieste sono vuoti. «Dove sono tutti? Ci stanno facendo neri e non parla nessuno».
Al secondo piano, si sentono solo le urla di Cremaschi, ultimo ufficio in fondo a destra: «E’ una truffa, ci siamo fatti fottere dalla Cgil, che sta dando soltanto i risultati delle fabbriche del sì. E io non sto zitto, io denuncio».
Doveva essere una giornata informale e silente, perché priva di risultati ufficiali. Far finta che tutto sia normale, aspettando di conoscere i dati definitivi e quindi le conseguenze politiche di quel «no» all’accordo sul welfare che ha messo la Fiom in una posizione forse scomoda, sicuramente isolata. Lontano il segretario Gianni Rinaldini, a Palermo per l’assemblea nazionale Firn, lontano anche il leader dell’opposizione interna Fausto Durante, ad Arles per un convegno sulla siderurgia.
Nella sede nazionale del sindacato c’è Francesca Re David, responsabile dell’Ufficio organizzazione, chiusa nel suo ufficio a mettere insieme risultati ovviamente informali, cercando di trovare un filo conduttore alle telefonate che arrivano dalle fabbriche di tutta Italia. La consegna del silenzio viene fatta saltare da Cremaschi, che di primo pomeriggio convoca una conferenza stampa in corso Trieste per denunciare irregolarità nei seggi allestiti fuori dalle sedi di lavoro. L’escamotage è quello di parlare in casa della Fiom come leader dell’area congressuale «28 aprile», l’ala sinistra della Cgil, ma la giornata e gli argomenti trattati non sono qualsiasi. Sarà anche un battitore libero, ma Cremaschi dispone di antenne ben allenate, ed è il primo a capire come si sta mettendo la giornata. «La Cgil gioca d’anticipo diffondendo dati privi di qualunque credibilità, messi insieme sommando soltanto i voti delle aziende dove vince il sì».
La partita è delicata per lui, che ha fatto campagna a favore del no e su questo referendum si gioca molto, ma a metà pomeriggio nella fortezza di corso Trieste comincia a palesarsi una inquietudine neppure troppo sottile. Ci sono segnali di fumo difficili da ignorare. Negli uffici del segretario Gianni Rinaldini arrivano i dati delle fabbriche che hanno votato sì, e compaiono nomi che non avrebbero dovuto esserci. E’ il primo segnale che la vittoria del «no» non sarà un trionfo, e soltanto il dubbio che possa arrivare di peggio equivale già ad una sconfitta, scuote certezze che sembravano ben consolidate. Vero che Rinaldini ha passato le ultime settimane a dire di non avere sposato la causa del «no», ma se una sua affermazione larga gli avrebbe consentito di porre con forza un problema di rappresentanza alla Cgil, una vittoria pallida, per tacere di una sconfitta, sarebbe disastrosa anche per lui. «Ci stiamo giocando la faccia e anche il c…», è la sintesi di un dirigente nazionale, non fine ma chiara.
La consegna del silenzio diventa così un vessillo al quale aggrapparsi, per scacciare la spiacevole sensazione che qualcosa sia andato storto e che la notte debba portare consiglio e riposizionamenti. A tarda sera anche Francesca Re David esce dall’ufficio, e non ha certezze da dispensare. «Nelle aziende medio grandi siamo andati bene, poi c’è una montagna di piccole aziende nelle quali non siamo presenti, e lì bisogna aspettare». Non sono parole che lasciano intravedere scenari luminosi. Ma rappresentano la sintesi di una giornata che doveva essere informale ed incolore, ed invece rischia di essere il primo sorso di un bicchiere pieno di fiele.