E-mail e Visa card attenti agli Usa

La notizia è di quelle succose in un giorno, come quello di Capodanno, in cui di fatti rilevanti ne accadono davvero con il contagocce. A raccontarla con grande evidenza era ieri il quotidiano inglese Daily Telegraph, che spiegava ai lettori di aver avuto accesso a un accordo tra Unione europea e Stati uniti che darebbe la possibilità alle autorità americane di accedere a e-mail e carte di credito dei cittadini europei che volano verso gli Stati uniti. Il tutto, ovviamente, in funzione antiterrorismo.
Il quotidiano conservatore inglese ha in realtà ottenuto l’accesso, grazie alla legge sulla libertà d’informazione, a un accordo che risale al 2003, rinegoziato nell’ottobre scorso e che sarà rivisto fra un anno. Un atto di cui già si conoscevano i contenuti e che a suo tempo aveva fatto discutere. E che prevede sì che le autorità americane, nello specifico il Dipartimento di Homeland security, possano avere, tra le altre cose, gli indirizzi e-mail dei passeggeri e il loro numero di carta di credito, ma non che possano leggerne il contenuto e le transazioni.
La notizia è dunque meno allarmante, ma forse non meno grave. Per ragioni di privacy, per la tendenza degli americani a voler estendere il provvedimento e perché per gli europei non vale il contrario. Detto in soldoni, un cittadino americano che viene in Europa può stare tranquillo ché nessuna compagnia cederà alle autorità i dati personali. Si chiama principio di reciprocità e non viene rispettato, e la dice lunga sui rapporti con tra l’Europa e l’alleato d’oltreoceano.
Ma facciamo un passo indietro. Tutto nasce all’indomani degli attentati dell’11 settembre, quando il giro di vite antiterrorismo spinge gli americani a negoziare, dopo un lungo tira e molla e minacce di mettere al bando dagli aeroporti Usa le compagnie che non consegnassero i dati dei passeggeri, un accordo con la commissione Ue in cui quest’ultima sostanzialmente cala le braghe e concede alla Homeland security di entrare nei sistemi informatici delle compagnie che viaggiano verso gli Stati uniti ed estrarre 34 tipi di dati, dal nome e cognome al numero di telefono, fino a itinerario e bagaglio e ai pasti ordinati (in modo da indagare le attitudini religiose). «E’ un problema che ha un nome preciso: Pnr», spiega Mauro Paissan, componente del collegio del Garante della privacy. L’acronimo sta per Passenger name record e si tratta dei dati personali dei passeggeri che vengono registrati dalle compagnie aeree al momento dell’acquisto di un biglietto.
I punti deboli sono più di uno: della mancanza di reciprocità abbiamo detto, c’è poi il rischio che gli americani ne approfittino per penetrare in via autonoma e al di fuori dell’accordo all’interno di e-mail e carte di credito. E infine, cosa che sta già accadendo e che le autorità Usa non nascondono, che dall’antiterrorismo le maglie possano allargarsi fino a comprendere altri tipi di reati. E se un cittadino europeo vorrà opporsi, potrà farlo solo davanti a una corte statunitense. Viceversa, i dati di un cittadino americano potranno essere ottenuti solo previo consenso di un magistrato. Accade così che i diritti di un passeggero sullo stesso volo possono essere diversi a seconda della sua provenienza.
Immediate le reazioni delle organizzazioni per i diritti civili. «Sono inorridito, è la rinuncia ai diritti delle persone che viaggiano negli Stati uniti», ha detto Shami Chakrabarti, direttore dell’associazione britannica Liberty, che ha più volte denunciato gli abusi delle norme antiterrorismo anche in Gran Bretagna, in particolare nei confronti degli islamici.