E la Siria festeggia gli «eroi» hezbollah

Una bandiera gialla e verde con il logo degli Hezbollah, un braccio con il pugno chiuso che stringe un fucile, sventola da alcuni giorni sulla famosa statua in bronzo di Salah ed Din – l’eroe arabo di origini curde che sconfisse i crociati – davanti alle mura della città vecchia. Nel vicino suk coperto di Hamidiyya – cuore commerciale della città, della Siria e dell’intera regione da almeno tremila anni – grandi striscioni finanziati e scritti dalla locale comunità sciita inneggiano alla vittoria contro gli israeliani conseguita dalla resistenza libanese, denunciano le responsabilità americane nei massacri ai danni della popolazione civile e, singolarmente, i «complotti per far fallire la conferenza di Roma per un cessate il fuoco». Sulle decine di taxi, in gran parte di fabbricazione iraniana, franco-rumena o russa, ma anche sul lunotto posteriore di molte auto private, e dei sempre più numerosi affollatissimi bus cinesi e mini-bus giapponesi che, in un caos indescrivibile, partono dalla stazione di Baramke, accanto alla foto del presidente Bashar Assad c’è ora immancabilmente anche quella del leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, così come sui manifesti murali e sui ciclostilati attaccati un po’ ovunque per convocare questa o quella iniziativa di sostegno al Libano e alla sua resistenza. I discorsi di Nasrallah, le bandiere, le foto sono in vendita ovunque lungo i viali anni sessanta della vecchia università, accanto a quelle dei principali leader e pensatori arabi del passato e alla magliette con il volto de Che Guevara.
Damasco prepara il ramadan
Damasco si sta preparando all’imminente Ramadan – quando nei bar alle spalle della moschea Omayade tornerà recitare le sue storie uno degli ultimi hakawati, il cantastorie con i suoi pantaloni larghi, il gilé ricamato e il tradizionale fez – in un’atmosfera di grande euforia per quella che viene considerata la prima vittoria araba dall’inizio del conflitto con Israele e di attesa per una pace giusta, con il ritiro di Israele dai territori occupati siriani (il Golan), palestinesi (la West Bank) e libanesi (le fattorie e le colline di Sheba).
La mobilitazione siriana è scattata subito all’inizio delle ostilità in Libano e si è accentuata via via in seguito all’arrivo di centinaia di migliaia di profughi libanesi accolti non solo dalle autorità quanto soprattutto dalla stessa società siriana. Sistemati nelle scuole, negli edifici pubblici, nei locali adiacenti alle moschee, ma anche in molte case private, i profughi hanno ricevuto ogni aiuto dalle famiglie siriane che hanno proveduto a tutte le loro necessità. Poi la notte del cessate il fuoco, su invito del segretario degli Hezbollah a tornare ciascuno nel proprio villaggio per avviare la ricostruzione e una nuova fase della resistenza, la maggior parte dei profughi sciiti è sparita da Damasco nel giro di poche ore.
L’asestenza data dalla società siriana ai profughi libanesi assume una rilevanza ancora maggiore se si considera il risentimento della popolazione per l’uccisione in Libano di decine e decine di immigrati siriani nel corso della «rivoluzione dei cedri» e nei mesi successivi, e per il fatto che questa è la quarta ondata di profughi che ha investito la Siria dopo l’arrivo di 400mila palestinesi del 1948, seguiti nel 1967 da 500mila abitanti del Golan occupato e, a partire dal 2003, da almeno 500mila iracheni. Un caleidoscopio di popoli che caratterizza gran parte della capitale: il vecchio, disordinato, quartiere centrale di Merjeh (la piazza intitolata alle vittime dei bombardamenti francesi del 1945 sul parlamento siriano, e Hamas ancora non era nato), dai mille negozietti dove si può trovare praticamente di tutto e dagli alberghi supereconomici e spesso piuttosto equivoci, è sempre più affollato di iracheni e soprattutto di pellegrini iraniani. I primi tendono a stabilirsi nell’area di Jaramana, non senza alterne tensioni con la locale comunità curda, e i secondi più fuori attorno alla moschea costruita da Tehran sul luogo dove è sepolta Sayyda Zenab, nipote di Maometto.
E tutti aiutano i profughi
«Il dato importante della solidarietà nei confronti dei profughi libanesi, in gran parte sciiti – ci dice Omar, studente di scienze politiche che incontriamo in un ex bagno turco della città vecchia trasformato in bar – sta nel fatto che essa ha superato qualsiasi differenza politica e, soprattutto, confessionale». Colpiscono da questo punto di vista i ritratti del leader hezbollah Hassan Nasrallah, davanti alle moschee sunnite (la principale corrente dell’Islam maggioritaria in Siria) che gli Usa dal 1982 ad oggi hanno sempre cercato di usare per rovesciare il regime del presidente Hafez Assad prima e di suo figlio Bashar el Assad poi, appartenenti alla minoranza alawita (sciita). E ciò nonostante i forti legami di molti ricchi commercanti sunniti con l’Arabia saudita. «La spinta della base sunnita a favore della resistenza libanese è stata così forte – ci dice un giovane ricercatore del centro studi al Sharq – da portare non solo i principali predicatori sauditi ad abbandonare una prima condanna degli Hezbollah venuta dal regime dei Saud, ma da spingere persino il centro della Fratellanza, la moschea di al Azhar al Cairo, ad esporre anch’esso i ritratti di Hassan Nasrallah. Non solo. La stessa al Qaeda, con un discorso di al Zawahiri, è dovuta scendere in campo pubblicamente al suo fianco nonostante i wahabiti considerino gli sciiti al pari degli atei e dopo che lo stesso Zarqawi avesse accusato gli Hezbollah di aver creato “un muro di sicurezza” a difesa di Israele contro gli attacchi jihadisti e ne aveva chiesto il disarmo».
Bandiere hezbollah tra i cristiani
Non meno interessante è il vedere le bandiere Hezbollah e i ritratti di Nasrallah per le strade di Bab Touma (la porta di San Tommaso), il quartiere cristiano della città vecchia sorto attorno alla vecchia cantina dove si crede che abbia abitato Anania, uno dei primi discepoli cristiani, apparso in sogno a Paolo di Tarso. Un quartiere sempre più affollato di ristoranti tipici dove non è raro sentire nei pub all’aperto, molto frequentati dai giovani e dalle giovani siriane – con il velo o senza ma tutte elegantissime – le suonerie dei telefonini con la voce di Nasrallah o con gli screensaver dedicati ai miliziani libanesi. «Non estraneo a queste simpatie – ci dice padre Augusto, religioso in una vicina chiesa – il fatto che cristiani e sciiti sono entrambi minoranze nel paese e si garantiscono a vicenda, e che tra i cristiani di Bab Touma, soprattutto tra gli ortodossi, sono sempre stati assai presenti il partito social-nazionale siriano favorevole alla “Grande Siria” e le varie organizzazioni della tradizione comunista. In ogni caso sempre fortemente nazionalisti e orgogliosi delle loro origini mediorientali e della loro cultura araba. Per non parlare di altri aspetti come la comune devozione nei confronti dei martiri e le immagini dei santi». Nabil, professore di musica al conservatorio ritiene però che la popolarità degli Hezbollah e della loro resistenza sia anche legata, afferma, «alla loro modernità, al loro rifiuto della demagogia e della propaganda, al loro impegno in prima persona, all’accettazione del carattere multiconfessionale del Libano, al loro praticare la resistenza ma rifiutando il terrorismo e, soprattutto, al mantenere quanto promettono. Esattamente l’opposto di quanto hanno sempre fatto i regimi arabi. La gente non vuole più slogan ma fatti e in questo caso è pronta anche a dare la vita per il proprio paese». E sarebbero molti i giovani siriani partiti per loro conto diretti in Libano per combattere – ci dice un religioso sunnita – mentre altri sarebbero stati fermati mentre tentavano di dirigersi verso le linee israeliane sul Golan.
In questa situazione Damasco sembra decisa non solo a riacquistare il Golan ma anche quel ruolo regionale che è riuscita ad avere per anni ma che ora gli è stato negato dagli Usa, nonostante la sua disponibilità a collaborare contro al Qaida e a trattare con Israele. Un trattamento considerato ingiusto nei confronti del paese che ha suscitato in Siria un forte risentimento verso la politica degli Usa e, in parte, della Ue. «Per quanto si possa criticare il regime – sostiene un ex oppositore della società civile che incontriamo al Sibti Garden – odieremo sempre di più gli Stati uniti e Israele per quello che hanno fatto a noi e ai nostri fratelli arabi». Damasco, immersa nell’afa e scossa da un vento caldissimo proveniente dal deserto, sembra aver accolto la vittoria in Libano come una pioggia.