E il sindacato divide anche la Cosa Rossa

Prudenza, frasi molto misurate, in alcuni casi addirittura silenzio: così i leader della Cosa rossa hanno accolto e commentato la decisione della Fiom di votare contro l’accordo sul welfare. Tranne alcune eccezioni ovviamente, come la capogruppo al Senato del Pdci Manuela Palermi che gioisce, da Franco Giordano in giù si registrano reazioni freddine. Il segretario di Rifondazione, per esempio, sottolinea che molte delle obiezioni dei metalmeccanici sono le stesse mosse dal suo partito e annuncia che le sosterranno nel Parlamento e nel Paese. Ma si guarda bene da cavalcare la notizia e usarla – come magari ci si sarebbe potuti aspettare – per dare ossigeno alla manifestazione del 20 ottobre. Per non parlare di Cesare Salvi, che esordisce scherzando in questo modo: «Sono un militante politico, capogruppo al Senato della Sinistra democratica e non ho altro da dichiarare…». Poi però qualcosa dichiara, per esempio che «Mussi è in Sudafrica e torna domani: ci riuniremo e valuteremo. In ogni caso la decisione della Fiom è certamente una grande novità, ma non mi fa piacere per niente la divisione del sindacato in tre pezzi: Cisl e Uil che sposano l’accordo senza riserve, la Cgil che invece muove delle critiche pur avendolo firmato, e la Fiom che spara a zero». Ma il 20 ottobre, Salvi? «A me interessa il 21, nel senso che dopo la combattiva e grande adunata, cosa faremo in Parlamento, come voteremo su Finanziaria e welfare…Preferirei allora che i capi della sinistra si riunissero una mezza giornata a discutere di questo».
Prudenza dunque e preoccupazione. Preoccupazione che questa spaccatura nel mondo sindacale, nella Cgil soprattutto, non aiuti affatto la costruzione – già faticosa per non dire impervia di per sé – della Cosa rossa. «La spaccatura della Cgil -spiegano quelli di Rifondazione – non ci aiuta per niente. Ovviamente noi siamo contenti della decisione Fiom, ma il nostro obiettivo non è solo il cambiamento dell’accordo sul welfare. E’ anche, anzi soprattutto, la costruzione di questo nuovo soggetto politico. Perché se non riuscissimo a farlo, quel che paventa Bertinotti rischierebbe di diventare realtà: la scomparsa della sinistra-sinistra in Italia». La paura che aleggia è che il nascente Partito democratico abbia come obiettivo di ridurli in condizione di non nuocere, giocando sulle loro divisioni e sull’eventuale incapacità di mettersi insieme. Ed è ovvio che la spaccatura della Cgil non aiuta, visto che si riflette meccanicamente sulle diverse forze politiche, Diliberto con la Fiom, Giordano pure ma senza esagerare, Mussi con Epifani e così via.
«La situazione è delicata», è il coro che rimbalza da un partito all’altro. Tanto che già si riflette su come andrà, o dovrebbe andare, la manifestazione del 20 ottobre. Anche qui si cammina su un sentiero strettissimo, praticamente un filo di rasoio. Perché se andasse troppo bene, per esempio se i giornali potessero intitolare «Un milione in piazza», sarebbe certamente un grande successo. Ma contemporaneamente produrrebbe seri contraccolpi sul governo, che rischierebbe di entrare in crisi (e nessuno degli organizzatori lo vuole) o quantomeno sarebbe costretto a cedere alla piazza modificando i suoi provvedimenti (attirandosi così polemiche roventi dalla sua stessa maggioranza, dal sindacato, oltre che dall’opposizione). Se invece andasse così così, o addirittura malino, sarebbe un flop che cancellerebbe nello spazio di un pomeriggio qualsiasi speranza di costruire la Cosa rossa. Ecco perché nessuno si spella le mani per la decisione della Fiom, peraltro tutti sanno che nella consultazione tra i lavoratori sì otterrà una larga maggioranza. Meglio allora concentrarsi sulla stesura della legge finanziaria, sui possibili emendamenti al protocollo sul welfare e sul corteo di ottobre. Sperando – o addirittura facendo in modo – che vada bene ma non benissimo.