E il parlamento di Kabul approva l’amnistia

La camera bassa del parlamento afghano ha approvato ieri la legge di amnistia per i crimini di guerra. Alla fine lo sdegno degli attivisti dei diritti umani non è bastato, e la comunità internazionale guarda altrove – l’operazione Achille scatenata da Nato e americani, la temuta offensiva di primavera dei talebani. Così il presidente Karzai, sempre più ostaggio delle molte fazioni che si contendono il controllo del paese, non ha potuto fare altro che cercare di strappare un compromesso. C’è riuscito, ma non è una grande consolazione.
Il testo approvato ieri dalla Wolesi Jirga concede l’amnistia generale per i crimini di guerra ma riconosce ai singoli il diritto di chiedere il risarcimento dei danni eventualmente subiti. E’ una versione leggermente revisionata della legge approvata dal parlamento il mese scorso a furor di popolo, quel «popolo» che alla fine di febbraio i talebani e i signori della guerra, per una volta uniti nella lotta, spedirono a riempire lo stadio di Kabul chiedendo a gran voce – e sottolineando il concetto con raffiche di mitra – l’apertura del cosiddetto processo di riconciliazione nazionale. In altre parole, il colpo di spugna su decenni di macelleria. Trentamila manifestanti e warlord di tutte le fazioni (Abdul Sayyaf, Ismail Khan, Rashid Dostum, Khalili, Rabbani, Mohammed Fahim…) affollarno gli spalti dello stadio Ghazi, il luogo che durante il regno dei talebani ospitava le esecuzioni pubbliche.
Quella legge era composta di dodici articoli, questa solo di sei, ma sembra difficile sapere quali sono i commi caduti sotto la scure del compromesso cercato – e apparentemente ottenuto – da Karzai. Il presidente della Wolesi Jirga, Haseeb Nori, ha detto all’agenzia Deutsche presse che l’amnistia riguarda tutti coloro che si sono combattuti tra loro per l’indipendenza dell’Afghanistan negli ultimi trent’anni, ma che non ne potranno beneficiare «i ricercati per crimini commessi contro la sicurezza esterna o interna del paese», e nemmeno «coloro che non accettano la costituzione afghana e l’attuale governo». Dettagli che sembrano fatti apposta per escludere dal colpo di spugna i due nomi più scomodi, quelli del mullah Omar – l’inafferrabile capo dei talebani sotto il cui dominio gli studenti islamici prima riconquistarono l’Afghanistan poi realizzarono l’alleanza con Osama Bin Laden – e Gulbuddin Hekmatyar, il più sanguinario dei signori della guerra afghani. Ex primo ministro, Hekmatyar ha combattuto praticamente per e contro tutti coloro che si sono dati guerra nel corso degli anni all’interno del paese, spesso nello stesso momento, e attualmente guida una sua separata insurrezione contro il governo Karzai e contro le truppe d’occupazione straniere.
Niente «verità e riconciliazione» per l’Afghanistan, come accadde ad esempio in Sudafrica dove l’amnistia venne legata all’ammissione dei delitti. Solo una mano di bianco su decine di migliaia di morti fatti ammazzare prima nella guerra contro i sovietici, poi nelle guerre tra afghani e infine nel conflitto contro americani e (adesso) truppe della Nato. Il presidente Karzai ha parlato di «passo importante per promuovere il processo di pacificazione del paese». In mattinata lo stesso Karzai aveva provato a opporsi al voto, rimandando la legge in parlamento e chiedendo che vi venisse inserito il diritto delle vittime a cercare giustizia. La manovra non ha retto per molto: in poche ore la Wolesi Jirga ha trovato un accordo, riformulato la legge con il taglio di parte degli articoli e l’aggiunta di qualche eccezione, e l’ha ripresentata al presidente che non ha potuto (o voluto) fare altro che congratularsi. Ora la legge sull’amnistia dovrà essere approvata anche dalla camera alta, poi la cancellazione di decenni di crimini sarà completa.