E i cittadini si ribellano: via i marines da Vicenza

E’ arrivata immediata la risposta dei vicentini. Dopo le parole del premier, sono scesi in piazza in almeno 5 mila, comitati per il «no», partiti di sinistra e Cgil e tanti cittadini comuni. Fino all’aeroporto Dal Molin che dovrebbe trasformarsi nella mega-base Usa e blindato dalla polizia. Una fiaccolata rabbiosa e determinata per ribadire il no all’allargamento della base militare americana. Contestati i politici dell’Unione locali presenti, ai quali in molti hanno chiesto di dimettersi, ma nel mirino sono finiti in particolare i Ds, ai quali sono state fatte ammainare le bandiere, alcune delle quali sono poi state date a fuoco. Arrivati nei pressi della stazione, poi, un centinaio di manifestanti si sono sganciati per occupare i binari della ferrovia.
E ora, oltre al presidio permanente davanti al Dal Molin, si fa strada una nuova forma di protesta: se il governo dirà sì i cittadini di Vicenza rispediranno a Roma le schede elettorali. Come prevedibile, l’annuncio di Prodi ha riscaldato gli animi. Oltre a provocare una profonda delusione per «essere stati completamente ignorati dal governo». Una beffa, anzi una «vigliaccata», come ripetono in molti. Il sì alla base è letto come uno schiaffo a una popolazione che ha detto un no chiaro e motivato. E invece, e questa proprio non è andata giù ai vicentini, «Prodi dice che la militarizzazione della città è solo un problema urbanistico». La fiaccolata si è conclusa in tardissima serata con l’inaugurazione ufficiale del presidio allestito dall’assemblea permanente. Diversi ragazzi avevano cominciato a montare il tendone davanti all’aeroporto già lunedì sera.
In mattinata abbiamo percorso la Vicenza in lungo e in largo per sondare gli umori dei vicentini. Nessuno si aspettava il parere del governo. E’ una giornata umida e nebbiosa, tutto appare assopito. Ma appena si accenna alla questione Dal Molin, le orecchie si drizzano e tutti vogliono dire la loro. Al bar vicino a piazza dei Signori ci sono due signore impellicciate che subito precisano di aver votato per la casa delle libertà. «Ma sulla questione della base – dicono – siamo totalmente in disaccordo con Berlusconi e anche con il nostro sindaco. Basta con questi militari americani». Un tipo sulla quarantina, Alberto, sorseggia un cappuccino e dice che «quello che manca in questo dibattito è una seria discussione sul perché questi americani vogliono allargare la Ederle. Quello che non si dice è che la nuova base serve per nuove guerre». E’ un punto che viene sottolineato da tutti quelli che incontriamo passeggiando per il centro. Chi non dice che dislocare i soldati qui serve anche per ridefinire e rendere più rapido l’utilizzo di mezzi e uomini nelle prossime azioni militari Usa contro il Medioriente sono piuttosto i politici. I cittadini questo concetto ce l’hanno ben presente. «Non vogliamo diventare la portaerei americana in Europa – dice senza mezzi termini Nicola, il gestore del bar – non è vero che la nuova base poterà nuovi introiti alla città. Non è mai stato così nemmeno con la Ederle».
Incrociamo qualche studente ritardatario. Chiediamo se sa che domani c’è uno sciopero indetto contro il Dal Molin. «Certo che lo sappiamo», dicono Franco e Viola, e tirano fuori dallo zaino un volantino dell’assemblea permanente. Loro il 2 dicembre, alla grande manifestazione contro l’allargamento della base, c’erano. «Questo sarebbe un governo amico – ironizzano – ma amico di chi? Degli americani, certamente. Ma noi non ci faremo ingannare. Qui non ci sono governi amici», insistono. «E poi – aggiunge Viola – sbaglia chi pensa che Vicenza sia una città debole, senza nervi. Abbiamo imparato tante cose dalla val Susa e dalla lotta contro la Tav». Salta fuori che Viola è stata alla tre giorni organizzata in valle lo scorso anno anche dal manifesto. «Qui a Vicenza – dice – sapremo mutuare le forme di lotta della val Susa, per tutti una fonte di ispirazione». Davanti al comune, in piazza, c’è un gruppetto di signore che chiacchiera. «Dal Molin? No, no – dice una – noi gli americani qui non li vogliamo. L’abbiamo già detto chiaro e tondo». Poi, un po’ timidamente, la signora Maria dice che era in piazza «proprio qui davanti, la sera che c’era la televisione, con Santoro. No – si schernisce – io non battevo le pentole, però sono venuta a dire che ero contraria».
All’ingresso di una banca, dietro la piazza, c’è gente che aspetta di entrare. Un signore in giacca e cravatta dice che «per me gli americani posso anche venire, basta che portino soldi in città». Sarà praticamente l’unico cittadino, nella certo non esaustiva passeggiata, che si dirà a favore dell’allargamento della base. «No, non è vero che ti abitui a vedere sbucare nel tuo giardino soldati con la faccia tinta di nero e armati fino ai denti». Il maestro elementare che tutte le mattine si trovava vis-a-vis con questi «rambo tutto muscoli» non ci sta. «Non è vero che ti abitui a essere una città occupata. Perché questo è Vicenza. I militari americani alla Ederle non sono una presenza discreta, quasi invisibile». Per lui, che ha due figli ormai cresciuti, «convivere con una forza militare ha condizionato anche i nostri comportamenti, magari inconsciamente. Ma non stavo tranquillo a sapere mia figlia fuori la sera con tutti questi soldati ubriachi che scorrazzano in città». Inutile dire che la sola ipotesi di un allargamento della Ederle fa rabbrividire il maestro: «Ci hanno sempre raccontato un sacco di balle sull’impatto economico fortemente positivo per la città della presenza americana. Gli americani in realtà hanno tutto ciò che gli serve dentro la Ederle, negozi, prodotti, spacci alimentari. A Vicenza escono per fare baldoria». Domani, intanto, tocca agli studenti medi scendere in piazza.