E gli operai di Melfi sono sotto processo

Diciotto indagati per le proteste del 2004, la gloriosa e pacifica «primavera di Melfi» finisce in tribunale. Il procuratore Giuliana Giuliano, del Tribunale di Melfi, ha proceduto su quattro esposti della Fiat Sata e di tre aziende dell’indotto, che accusano di «violenza privata» gli operai che il 21 aprile 2004, terzo giorno di presidio, stazionavano in assemblea permanente davanti all’ingresso degli stabilimenti. Secondo gli esposti, gli operai avrebbero impedito l’ingresso a due pullman, dove si trovavano una trentina di capireparto e dirigenti Fiat intenzionati a recarsi al lavoro. Gli stessi occupanti degli autobus hanno segnalato all’azienda 18 persone, che adesso risultano indagate e che potrebbero essere rinviate a giudizio. I diciotto in questione sono tutti iscritti al sindacato, molti di loro sono delegati. Tredici sono esponenti della Fiom – tra loro il segretario generale della Basilicata Giuseppe Cillis – e gli altri cinque di organizzazioni di base. La settimana scorsa sono stati sentiti, come persone informate dei fatti, il responsabile auto per la Fiom, Lello Raffo, il segretario generale dei metalmeccanici Cgil Gianni Rinaldini e la deputata di Rifondazione comunista Angela Lombardi. Tutti loro, come tanti altri parlamentari e sindacalisti che nei giorni successivi si sono recati a Melfi, hanno partecipato attivamente ai presidi e oggi lanciano un appello: «Se si dovesse procedere alla causa noi ci autodenunceremo, perché eravamo con gli operai della Fiat, abbiamo sostenuto le loro ragioni e la loro protesta pacifica – spiegano – Invitiamo le migliaia di persone che si trovavano ai presidi, dai tanti lavoratori fino ai sindacalisti e ai parlamentari, ad autodenunciarsi insieme a noi».
Uno degli operai indagati, Emanuele De Nicola, Rsu della Fiom e oggi nella segreteria regionale, spiega che «quella che si è svolta il 21 aprile, come tutti gli altri giorni, era una protesta pacifica, una manifestazione effettuata con le modalità dello sciopero, dell’assemblea permanente e con un presidio di fronte agli stabilimenti, tutte azioni tutelate dalla Costituzione». «Chi voleva poteva entrare, tanto che proprio in quei giorni la Fiat sulla stampa dichiarava che la produzione non si era fermata: ma non in autobus, dato che sarebbe stato pericoloso passare con i mezzi tra le persone in presidio. Spiegammo alle forze dell’ordine che si poteva tranquillamente transitare a piedi, e i poliziotti salirono sul pullman per informare i responsabili Fiat. Furono loro a scegliere di tornare indietro, evidentemente perché non volevano lasciare l’autobus».
Ad assistere legalmente gli operai indagati sono tre avvocati: Simone Sabattini, figlio dell’ex segretario Fiom Claudio, Lina Grosso e Paolo Pesacane. Pesacane spiega che mentre in base all’accordo del 9 maggio (alla conclusione delle proteste), la Fiat aveva ritirato tutte le denunce sul piano civile, gli esposti penali ovviamente restano in piedi, poiché la procura ha dovuto procedere d’ufficio, ma che adesso si spera in un’archiviazione: «Noi chiediamo che tutto venga archiviato perché si trattava evidentemente di presidi e non di blocchi. Oltretutto, era una protesta condivisa dalla popolazione, non solo locale, legittima e per nulla imposta: in quei giorni ci fu una grande solidarietà, da Melfi e dai paesi vicini portavano cibo agli operai, vennero sindaci con i gonfaloni, parlamentari e tanti cittadini da tutta Italia. La Fiat stessa dichiarò sulla stampa che dentro si continuava a lavorare: dunque si poteva entrare».
Per Lello Raffo «non c’è stata alcuna violenza: eravamo in migliaia al presidio del 21 aprile e a quelli successivi; anche il 26, quando prendemmo le botte a causa delle cariche. La procura ha dovuto procedere, ma adesso si deve archiviare: altrimenti ci autodenunciamo tutti».
Angela Lombardi (Prc), che ha presentato un’interrogazione al ministro del lavoro Damiano, vede una «rivalsa della Fiat a due anni di distanza: l’azienda vuole chiarire chi deve avere la meglio, soprattutto oggi che procede a chiedere nuovi sacrifici agli operai per la Grande Punto. Ma non si possono processare le lotte sociali. Nello stabilimento c’è una stagnazione dopo quelle lotte: bisogna che si rifletta a come tradurre nella quotidianità quel dinamismo, non farlo scemare».
Per Gianni Rinaldini, che ribadisce l’invito all’autodenuncia, «è paradossale che si proceda contro gli operai a più di due anni di distanza, e all’indomani di un integrativo nazionale Fiat che include finalmente anche Melfi. Avrebbe l’amaro sapore di una vendetta servita a freddo: noi invece ci auspichiamo che tutto venga archiviato e che finisca qui».