Drammatica la situazione dei popoli nativi colombiani, 18 dei quali rischiano di scomparire. E’ quanto ha denunciato la Missione internazionale convocata dall’Onic (Organizzazione delle nazionalità indigene colombiane) lo scorso settembre in Colombia, alla quale hanno preso parte organizzazioni sociali e dei diritti umani di 15 paesi, oltre ad agenzie delle Nazioni unite e a una delegata della Commissione europea. Cinque le regioni visitate, considerate ad altissimo rischio, Arauca, Cesar, Cauca, Cordoba e San Jose del Guaviare. La missione – che ha incontrato le comunità più colpite dalla violenza causata dallo sfruttamento dei territori e dal conflitto in corso – rispondeva alle preoccupazioni del relatore delle Nazioni unite, Rodolfo Stavenahguen che, nel maggio 2004, aveva chiesto l’intervento del presidente Alvaro Uribe. A distanza di due anni, la situazione indigena è invece peggiorata. La politica di sicurezza democratica di Uribe è stata un fallimento e i suoi legami con il paramilitarismo, di cui è uno dei fondatori, sempre più vincolanti per l’azione del governo.
La Commissione dei giuristi internazionali, una delle voci mondiali più autorevoli in materia, nel suo ultimo documento spiega come la politica del governo colombiano negli ultimi tre anni abbia contribuito allo smantellamento dello stato di diritto ed al consolidamento dell’impunità. Data la legislazione vigente che legalizza l’impunità e l’enormità dei crimini di guerra e di lesa umanità commessi in Colombia, i giuristi chiedono l’ intervento della Corte penale internazionale. Anche la contestata legge di «giustizia e pace», che prevede la smobilitazione e il reinserimento dei gruppi armati illegali, si è rivelata una farsa della quale ci si rende conto visitando le zone in cui questi gruppi operano tuttora. La proposta che, sin dall’inizio, pensava solo a legalizzare l’attività dei paramilitari, di fatto garantisce l’immunità per tutti i crimini di lesa umanità commessi in questi anni e non punisce i colpevoli. Basti pensare che, dal 2002 al 2006, i paramilitari hanno compiuto 3000 attentati, tutti impuniti. La proposta di smobilitazione, che pretende di equiparare i paramilitari alle guerriglie di opposizione, è stata perciò rifiutata dalle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) e dall’Eln (Esercito di liberazione nazionale), che combattono contro il governo per ragioni ben diverse dal 1964. Uribe non ha compiuto nessun passo verso la pace, e si è ben guardato da arrestare i capi del paramilitarismo, con cui anzi conclude accordi, affari, e che a volte invita in Parlamento. Dall’altro lato, il Movimento dei familiari delle vittime di stato si batte per vedere riconosciuti il diritto alla riparazione per i crimini subiti, ma invano. La legge di «giustizia e pace» si è dimostrata un contentino verso quella piccola parte del congresso statunitense e dell’Unione europea che chiedeva a Uribe di risolvere l’imbarazzante problema di 25.000 paramilitari che operavano indisturbati. E’ sembrato più conveniente smobilitarli e reinserirli, i paramilitari, anche se questo ha generato un problema con quei milioni di colombiani colpiti dai loro crimini, e che adesso troveranno tra i servitori dello stato i loro stessi aguzzini.
Intanto, aumenta la connivenza tra militari, paramilitari, addestratori stranieri e imprese multinazionali. Le imprese che hanno sostenuto l’apartheid in Sudafrica sfruttandone le risorse, sono le stesse entrate recentemente in Colombia e coinvolte nello sfruttamento dell’oro e della diffusione della palma africana. La palma servirà a produrre biodisel e sarà estesa a sei milioni di ettari, mentre nelle miniere sono già passati i nuovi codici e regolamenti scritti dagli avvocati delle multinazionali. Su questi due temi le comunità afrocolombiane, contadine e le organizzazioni sindacali che si sono opposte, sono state vittime di omicidi selettivi. Le imprese AngloGold, Glencore e Miller, nelle regioni di Cordoba e Urabà addestrano e organizzano i paramilitari per garantire i loro interessi economici.
Nella zona del Cesar, i gruppi paramilitari prima si chiamavano Auc, adesso Aguilas Negras, e i capi storici come Mancuso o Jorge 40 continuano a dettare condizioni al governo. Capi che hanno accumulato immense fortune, sufficienti a sfamare milioni di colombiani impoveriti da decenni di conflitto, e che il governo si è guardato bene dal sequestrare. Anche il discorso della lotta al narcotraffico è pura immaginazione.
I paramilitari controllano poi anche le trasferencias (trasferimenti) dei fondi dello Stato per la salute e l’educazione. Di fatto gestiscono l’Ars (amministratori di regime sussidiato), l’Eps (imprese promotrici della salute) e l’Ips (istituzioni prestatori dei servizi). Questo è stato uno dei motivi per i quali sono state trucidate alcune delle donne indigene Wayùu che hanno tentato di mettere in piedi un loro servizio sanitario.
Anche il diritto internazionale sembra interessare poco o nulla al governo Uribe. Le misure cautelari concesse dalla corte interamericana come nel caso del popolo Kuankuamo, non sono servite per fermare l’orrore dei massacri e gli omicidi selezionati compiuti contro questo popolo che, negli ultimi sei anni, ha perso oltre 250 dei suoi figli.