La ripresa politica, dopo le feste di fine anno, sarà caratterizzata da una infinita discussione sulle pensioni. Non è ancora iniziato infatti l’anno cruciale che dovrebbe essere quello d’ingresso allo scalone, (dal 2008 tutti in pensione a 60 anni) che è già partita, ancor prima dei primi giorni di gennaio, nella settimana semifestiva tra natale e capodanno, la consultazione tra governo e parti sociali sulle caratteristiche della riforma pensionistica. Anche se molti sono convinti che una riforma non sia necessaria e serva soltanto l’applicazione finale della legge Dini.
La discussione è alle prime avvisaglie, ma il presidente Prodi non ha contribuito alla chiarezza. Affrontato ieri alla stazione Termini, si è schermito con un’uscita delle sue: «macché pensioni…è natale…lasciatemi un po’ in pace!» Destra e sinistra si sono così scambiate le prime battute figurative, accusandosi reciprocamente di scarsa sensibilità sociale, ma avendo come bersaglio governo e presidente del consiglio, lontani entrambi dall’aver preso posizione.
Circola una simulazione che viene così riassunta dalle agenzie: un incentivo per i lavoratori dipendenti in età e condizioni di pensione, ma invece disposti a rimanere al lavoro, pari al 3% della retribuzione; un disincentivo del 3,5% sull’assegno mensile di pensione per i lavoratori meno che sessantenni che scelgano invece di abbandonare il lavoro.
Le non meglio identificate «fonti» che fanno filtrare le informazioni, sono pronte a fare un passo indietro, assicurando di non conoscere ipotesi di lavoro definitive. In altre parole, si tratterebbe soltanto di sassi lanciati nell’acqua per vedere il movimento delle onde. In questo caso vi sono molte dichiarazioni e contro dichiarazioni (Sgobio del Pdci a favore delle pensioni, mentre contro scende in campo Capezzone di Rnp che pure fa parte della stessa maggioranza parlamentare; e poi Napoli di Fi e Zipponi di Prc).
Circola anche un’altra indiscrezione: la revisione – al ribasso – dei coefficienti di trasformazione dei contributi previdenziali, prevista dalla legge Dini. Repubblica online è sicura del fatto suo. «A fronte di un aumento dell’aspettativa di vita, bisogna rivedere al ribasso le prestazioni» e offre anche le cifre, ricordando che il vecchio nucleo di valutazione suggeriva una riduzione tra il 6 e l’8%, a seconda dell’età di uscita dal lavoro. E non manca di notare che tutto ciò è «inaccettabile» per il sindacato.
E’ probabile che mettendo insieme il temibile scalone per la fine del 2007, al trend di revisione al ribasso dei coefficienti a partire dal 2008, cioè due concreti attacchi alle pensioni a partire da una data prossima, molti di quelli in grado di uscire anticipatamente dal lavoro, lo faranno subito, approfittando dell’ultima finestra aperta, prima dell’entrata in funzione dei disincentivi. Evitando insomma guai quasi certi, in cambio di un non grandioso aumento di stipendio futuro, ottenibile rimanendo al lavoro.
La questione riguarda poi l’insieme del modello pensionistico. E’ diffusa la convinzione che al sistema pubblico debba affiancarsi un altro privato. Per sollecitare tale scelta, e per contrastare gli accordi tra governo e sindacato in difesa delle pensioni, da dieci anni e più si è sviluppata la campagna per «l’equità intergenerazionale» cui lo stesso Romano Prodi – non allora al governo – ha partecipato nel 1994, insieme a Franco Modigliani e Paolo Sylos Labini, a Mario Baldassarri e Franco Debenedetti. L’accanimento contro la tenuta delle pensioni passa anche dal confronto tra il caso italiano con il 51,5 della spesa in prestazioni sociali indirizzata alle pensioni di vecchiaia, contro il 36,5% della Francia, il 41,4 della Germania, il 41,5% del Regno unito e il 40,9% della Spagna. Difendere le pensioni (900 euro in media) sembra difficile.