E Free Gaza Riparte

«E adesso siamo pronti alla prossima missione», ha dichiarato a Terra da Cipro l’incrollabile Greta Berlin, organizzatrice di Free Gaza, una delle associazioni che componevano la Freedom Flotilla. La nave Rachel Corrie infatti, insieme ad altre due imbarcazioni, è rimasta indietro al momento dello scontro con l’esercito israeliano. E nonostante l’ostruzionismo dei governi di Cipro, che fino all’ultimo ha rifiutato ogni supporto alle navi. Non c’è da stupirsi: la parte greca di Cipro si è recentemente alleata a Israele per lo sfruttamento dei giacimenti gazieri a largo della Striscia. Il governo della parte turca, invece, appena insediatosi, intrattiene rapporti quantomeno “amari” col la controparte di Ankara, governata da un governo islamista (Cipro Nord è repubblicano-nazionalista, quindi laica) che tutto ha fatto per favorire la flottiglia.

Fra qualche giorno, insomma, se non oggi stesso, le navi della solidarietà torneranno a solcare i mari alla volta di Gaza in circostanze tuttaltro che favorevoli. Israele ha già annunciato di essere pronta ad attaccare una seconda volta. Nonostante tutto. A questo punto gli organizzatori di Free Gaza possono soltanto sperare che il livello di attenzione sulle missioni di aiuti non scenda. Per questo, gli occhi adesso sono tutti rivolti verso le centinaia di attivisti trattenuti da ormai 48 ore, che continueranno a fare notizia finchè resteranno nei centri di detenzione israeliana. Anzitutto, ci sono quelli scomparsi del tutto. Non se ne sa più niente. È il caso del Britannico Kevin Ovenden e dell’Irlandese Qweeva Batterley. Li avevamo già incontrati ai tempi del convoglio Viva Palestina, in Egitto, lo scorso gennaio. Ci sono quelli, come i sei cittadini greci, i 40 cittadini turchi, e il cittadino francese, che hanno accettato la deportazione, e sono finiti scortati all’aereoporto di Ben Gurion. Ci sono i cittadini israeliani, alcuni rilasciati subito – come la parlamentare Hanine Zou’abi – altri trattenuti per ulteriori investigazioni. Ci sono poi i casi “intrattabili”, ovvero i cittadini libanesi e algerini, i cui paesi non hanno legami diplomatici con Israele per intercedere a loro favore. Anzi, nel caso dei libanesi, potrebbero venire considerati spie o agenti di Hezbollah dato il conflitto fra i due stati. Per chi, poi, rifiuta di “cooperare” e farsi deportare, scatta la detenzione. «Uno degli italiani ha già accettato la deportazione. Le autorità israeliane stanno sottoponendo loro un foglio in cui accettano di lasciare il paese e di non avere più diritto a rientrarvi per i prossimi dieci anni», spiegavano ieri a Terra dalla Farnesina, «Ci aspettiamo, naturalmente, che anche gli altri firmino a breve e stiamo cercando di anticipare il più possibile i tempi del rimpatrio. Se hanno avuto accesso ai 18 avvocati israeliani che stanno cercando di portare assistenza legale in caso di processo? Guardi, proprio non glielo so dire». La battaglia adesso è politica. Se Manolo Luppichini, Angela Lano, e gli altri italiani rimasti dovessero unirsi agli attivisti che decideranno di farsi processare, il caso della Freedom Flotilla continuerà anche nei prossimi giorni. Creando, forse, un nuovo precendente penale in Israele. Oggi sapremo da Adalah chi, fra i prigionieri, è pronto al processo, per tenere alta l’attenzione. In attesa che Free Gaza riparta.