E dalle aree tribali l’ incendio si estende al Pakistan

Nei polverosi e affollati bazaar di Peshawar, l’ antica città di frontiera con l’ Afghanistan, a pochi chilometri dalle turbolente «aree tribali», la vita va avanti – in apparenza – come sempre, a parte una massiccia presenza di polizia e soldati. Ma negli ultimi giorni tutto è cambiato, in questa regione da cui sono passati nei secoli decine di eserciti alla conquista (mai avvenuta) dell’ Afghanistan, o partiti dal nord per dominare il Punjab e l’ India. Poco lontano da qui, in Bajaur, una delle sette aree tribali semiautonome in cui gli americani pensano si nascondano Osama con i vertici di Al Qaeda e migliaia di talebani, il 30 ottobre è stata bombardata una madrassa. Un attacco condotto secondo molti testimoni e l’ opinione pubblica da un «drone» americano (anche se il governo ne rivendica la paternità), che ha portato alla morte di 82 persone. Studenti innocenti, sostengono i leader locali. Terroristi in gran parte «stranieri» che alimentano la jihad afghana e vogliono estenderla in Pakistan, insiste Islamabad, che ha vietato l’ area ai giornalisti. Mercoledì scorso, non lontano da Bajaur e Peshawar, capitale della Provincia del Nord Ovest e dei pasthun, è arrivata la risposta: un kamikaze si è fatto esplodere in una caserma a Dargai, uccidendo 45 reclute giovanissime. L’ attentato, che ha sconvolto l’ intero Pakistan, segna il triste primato dell’ attacco più mortale contro le truppe di Islamabad dall’ inizio della sua controversa alleanza con gli Usa, cinque anni fa. Soprattutto, segna una svolta drammatica nel più popoloso Paese islamico dopo l’ Indonesia. Nessuno ha rivendicato l’ azione suicida, solo dei fantomatici «talebani pakistani» che nessuno conosce. Ma che siano pakistani è probabile, in questa regione il cui governo provinciale è controllato dai «partiti dei mullah», uniti nella coalizione del Mma (Muttahida Majlis-e-Amal), dove le simpatie per la jihad afghana sono ampie. Anche se forse più grande è ormai l’ ostilità verso il presidente Pervez Musharraf. «Il bombardamento della madrassa è stato un crimine contro l’ umanità: anche se c’ erano estremisti, Musharraf ha permesso ancora una volta ai suoi padroni americani di commettere un’ atrocità», dichiara Javed, venditore di spezie nel bazaar. Si dice che da Dargai siano partiti in migliaia per combattere in Afghanistan prima contro i russi poi contro gli Usa, che la città sia una roccaforte di un gruppo islamico illegale, Tehrik-e-Nifaz-e-Shariat Mohammadi. Uno dei suoi leader sarebbe stato ucciso nella madrassa, l’ altro (latitante da anni) ai funerali delle vittime di Bajaur aveva promesso pubblicamente vendetta. Ma questo conta relativamente poco qui: più importante è che nel nord del Pakistan è iniziata una guerra. A Peshawar, dopo anni di relativa calma, ormai quasi ogni giorno si sentono spari e cadono razzi. Nelle aree tribali vengono uccisi leader vicini al governo. E la tregua con le sette zone che Islamabad vuole ancora oggi siglare (dopo che 80 mila soldati piazzati in zona non hanno sortito risultati) sembra sepolta: proprio il 30 ottobre il governo federale doveva firmare una «pace» con i leader di Bajaur, simile a quella raggiunta (e contestata da Usa e Nato) in settembre in Waziristan. Ora tutto è bloccato. «Quello che sta succedendo è terribile, la gente del Pakistan che attacca i suoi soldati, e viceversa. È frutto della mancanza di democrazia in questo Paese ed è molto pericoloso, non so dove ci porterà», dice al Corriere Makhtum Amin Fahim, presidente del maggior gruppo di opposizione (Alleanza per la restaurazione della democrazia) e capo del Partito del Popolo dell’ ex premier esiliata Benazir Bhutto. L’ abbiamo incontrato nella capitale Islamabad, dopo che venerdì la prima seduta dell’ anno parlamentare – dove l’ opposizione aveva promesso battaglia su Bajaur e Dargai – era stata aggiornata per volere del governo dopo solo cinque minuti. Al Parlamento, anche l’ opposizione islamica (considerata in realtà molto vicina a Musharraf, che la utilizzerebbe per giustificare i suoi poteri quasi assoluti) rumoreggiava. «Bajaur e Dargai indicano che il Paese è in preda all’ anarchia mentre i leader passano le serate a sentire musica o vogliono far passare in Parlamento la nuova legge di protezione delle donne», ci ha detto Fazlur Rahman, il mullah capo della coalizione religiosa Mma, forte di oltre 50 parlamentari. «Il kamikaze di Dargai non era un terrorista ma un militante, anche se condanniamo l’ attacco». Il governo, già in difficoltà per l’ avvicinarsi delle elezioni del 2007, ha promesso un’ ulteriore battaglia contro gli estremisti. Ribadisce che siglerà altre tregue nelle aree tribali, al cui sviluppo destinerà «tra i 5 e i 6 miliardi di dollari». E insiste sul fatto che i problemi nel Paese sono causati soprattutto da «miscredenti stranieri». «Il Pakistan è un Paese stabile e Al Qaeda qui è stata del tutto annientata – ci ha detto il ministro dell’ Informazione e portavoce ufficiale del governo, Mohammed Ali Durrani -. È quanto avviene in altri Paesi dell’ area, compreso l’ Iraq, a destabilizzarci». Soprattutto quanto avviene in Afghanistan, il cui governo «è così poco efficace che non riesce nemmeno a dialogare con i pashtun e i leader tribali». Islamabad, aveva aggiunto, non starà a guardare: «Vogliamo blindare la frontiera afghana con barriere e mine. E lo faremo anche se Karzai è contrario».