Probabilmente l’esecuzione di Saddam avverrà durante la notte, pensavano ieri in molti a Baghdad, perché in questo modo il governo eviterà possibili manifestazioni di protesta e trarrà vantaggi dall’inizio dell’Adha, festività islamica in cui si ferma qualsiasi attività produttiva, gli uffici pubblici sono chiusi e le famiglie musulmane rimangono a casa. Sentimenti contrapposti correvano veloci lungo le larghe vie della città: se tra gli sciiti era difficile, quasi impossibile, trovare qualcuno favorevole a risparmiare la vita del dittatore Saddam Hussein, tra i sunniti si rafforzava il convincimento di una sentenza di morte che punisce tutta la loro comunità, un tempo al potere in Iraq.
Oggi gli iracheni non sono d’accordo su nulla, ma su un punto nessuno di loro può sollevare obiezioni: l’invasione anglo-americana, la violenza, gli attentati, la disintegrazione sociale e ora l’esecuzione di Saddam Hussein, hanno messo fine ad una nazione che era irachena e che ora è solo un insieme confuso di tante entità in guerra tra di loro. E se anche con il passato regime l’Iraq era suddiviso in regioni dominate da questa o quella etnia o fede religiosa, Baghdad invece ha sempre rappresentato il simbolo dell’unità irachena. La capitale è una delle vittime principali della frana che sta travolgendo l’intero paese. Una città gigantesca dove vivono (o sopravvivono) circa 8 milioni di persone. Polverosa d’estate e fangosa d’inverno, con quartieri popolari miserabili e sporchi, con le fogne sventrate, dove Saddam aveva concentrato soprattutto gli sciiti, la città in ogni caso ha rappresentato per lungo tempo l’esempio più riuscito della coesistenza, talvolta imposta con la forza, tra etnie e fedi diverse. La sua composizione sociale e religiosa lasciava sperare gli iracheni in un futuro diverso e migliore. Oggi quel fiume maestoso che è il Tigri è diventato di fatto il confine tra la parte sunnita e quella sciita. Non più Alkarkh (la riva destra) e Alrassafa (la riva sinistra) come si diceva fino a qualche tempo fa, ma due aree nettamente separate, quasi due Stati l’uno di fronte all’altro.
«Stanno emergendo due città – dice con amarezza il professor Jamal Urabi, dell’università di Baghdad – una ad ovest controllata dai sunniti e una ad est dagli sciiti. Le due fedi rivendicano quei territori e fanno capire che li difenderanno senza misericordia per gli avversari». La tendenza è in atto già da tempo ma il punto di svolta è stato l’attentato dello scorso 22 febbraio alla moschea sciita di Samarra. Alle milizie sciite già esistenti se ne sono aggiunte altre, coalizzate contro i sunniti e la loro presenza a Baghdad. Minacce, avvertimenti, esecuzioni sommarie hanno portato migliaia di sunniti ad abbandonare i quartieri a maggioranza sciita, dove in molti casi avevano vissuto per decenni, per spostarsi nella zona ovest della capitale. Lo stesso è avvenuto agli sciiti che vivevano nei rioni sunniti. Un ultimatum di poche ore, la minaccia di finire in mezzo a un cumulo di rifiuti con un colpo di pistola alla nuca, e un numero imprecisato di famiglie sciite sono fuggite in preda al panico. Jihad, Amiriyah, Ghazaliyah, Yarmuk and Mansour sono quartieri sunniti divenuti no go zones per gli sciiti.
«Ho insegnato a tre generazioni di iracheni e non ho mai chiesto ad un mio studente se era sciita o sunnita e loro non erano interessati alla mia fede. Ora invece basta entrare in una zona «vietata» e si rischia di non fare più ritorno a casa», racconta Ali Nassirawi, docente di matematica. Dall’altra parte l’Esercito del Mahdi e le altre milizie sciite partendo dalla loro roccaforte, Sadr city, un immenso quartiere a nord-est della capitale dove 2,5 milioni di sciiti vivono in condizioni terrificanti, estendono il loro controllo più ad est e a sud cercando di creare un’area urbana omogenea senza sunniti. Il loro obiettivo a lungo termine è quello di «liberare» Kadhimiyah – con la moschea del santo Musa al-Kadhim – e di svuotare la sunnita Adhamiyah cresciuta intorno alla moschea Abu Hanifa. Uno dei drammi principali è quello delle coppie miste. Non sanno dove abitare e in non pochi casi sono state addirittura costrette a divorziare, su forte pressione dei familiari.
Da parte loro i cristiani – quelli che non si sono rifugiati in Siria o in Giordania – vivono rintanati in casa e perdono le speranze. La Baghdad della coesistenza non esiste più e si teme persino la fine del mercato del libro in Via Mutanabi, nel cuore della Città Vecchia, dove generazioni di iracheni sono andati a comprare libri nuovi e usati di ogni genere: sunniti, sciiti, cristiani, libri scientifici, le opere complete di Lenin e dell’ayatollah Khomeini, riviste erotiche, il Corano e la Bibbia. E forse finirà anche il famoso caffè «Shahbandar«, punto di ritrovo di artisti, scrittori e giornalisti di ogni fede ed etnia che discutevano di tutto e non chiedevano mai: sei sciita, sei sunnita?