E’ americana la pista balcanica che porta a Bin Laden

“Il Pentagono teme un fronte Balcanico”, un titolo a sei colonne e sotto solo quattro righe sull’allarme americano. L’abbiamo letto sul La Stampa. Un po’ pochino per spiegare se c’è e perché un “fronte balcanico” nella vicenda che lega Bin Laden agli attentati americani. Naturalmente lo scenario balcanico c’è, eccome. E le due notizie arrivate ieri lo confermano. Una arriva dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk), il partito di Ibrahim Rugova, che per bocca del vice-presidente Najm Jerlu, denuncia che “attacchi terroristici nella nostra regione hanno provocato 1.200 morti negli ultimi due anni dopo l’intervento della Nato” e che “nuove cellule terroristiche filo-integraliste di frange dissociate” e provenienti dall’Uck sono pronte dal Kosovo a far saltare lo stato di tregua in Macedonia, perché tra loro ci sono “mercenari” seguaci di Bin Laden addestrati dal 1994 al 1996 dal luogotenente filo-integralista islamico Mohamed Zawhiri”. Una denuncia grave che viene dopo l’accusa dello stesso Rugova che recentemente ha schernito la cosiddetta “Raccolta essenziale” di armi tra le fila dell’Uck – già addestrata dalla Nato – in Macedonia promossa dall’Alleanza atlantica, ricordando che “i depositi di armi sono tutti intatti in territorio kosovaro” e la Nato lo sa bene.
L’altra notizia viene da Sarajevo e dice che decine di seguaci di Osama bin Laden avrebbero intenzione di abbandonare l’Afghanistan e di rifugiarsi in Bosnia, con l’aiuto di simpatizzanti locali. “Abbiamo informazioni da una fonte attendibile che 70 individui, legati all’organizzazione di Bin Laden, si preparano a lascia l’Afghanistan per la Bosnia, ritenendolo il luogo più sicuro per la loro incolumità”, ha detto il ministro dell’interno bosniaco Muhamed Besic.
Ma qual è il punto? Dopo la guerra civile 1992-1995, alcuni musulmani stranieri, tra molti afghani e lo stesso Bin Laden, avevano ricevuto il passaporto bosniaco in segno di riconoscimento per aver “combattuto” contro i serbi e i croati. E’ questa la storia da raccontare. Una storia che è emersa nel cosiddetto scandalo del “Bosniagate” nel 1996 scoperto dalla stampa americana – strano che nessuno lo ricordi – in occasione delle audizioni del Congresso per decidere chi dovesse essere il nuovo direttore della Cia.
Erano candidati Antony Lake, consigliere dell’allora presidente Bill Clinton, e George Tenet, di origine albanese. Antony Lake perse la partita perché il Congresso scoprì che possedeva “azioni” di società potenti, e soprattutto perché era stato protagonista di un episodio giudicato compromettente: aveva favorito una triangolazione di armi dall’Iran alla Bosnia, agevolando anche l’arrivo di mujaheddin islamici afghani, iraniani e arabi. Una triangolazione, si scoprì, voluta dallo stesso Bill Clinton per pareggiare la situazione militare allora favorevole ai serbi di Bosnia, e per la quale si era adoprato anche l’inviato Richard Holbrooke. Come l’Iran-Contras dei tempi di Reagan.
A conferma di questo fatto chi scrive intervistò nel 1997 il giudice Antonio Cassese, allora presidente del Tribunale dell’Aja che. Alla domanda se valevano come “assoluzione” i lasciapassare rilasciati dalla presidenza bosniaca di Alja Izetbegovic a miglia di combattenti islamici – che nel frattempo si erano macchiati di feroci delitti, anche contro le popolazioni musulmane – rispose di essere a conoscenza pienamente della cosa, ma che il Tribunale avrebbe raggiunto tutti i criminali. E non va dimenticato che per quelle stesse triangolazioni di armi, che per arrivare in Bosnia, toccavano i porti croati controllati dalle milizie del presidente Tudjman, è stato arrestato recentemente l’ex presidente argentino Carlos Menem.
Ma Bin Laden? Dopo il 1993 torna in Afghanistan e sarà decisivo nella cacciata del nuovo governo dei mujaheddin appoggiati dall’Iran, da parte delle milizie dei Talebani, appoggiati a loro volta dal Pakistan e dagli Stati uniti. Molti combattenti islamici restano però nei Balcani a “rappresentare” gli interessi dell’Iran, tanto che gli Stati uniti chiederanno al governo di Sarajevo nell’ottobre del 1996 di far dimettere tutti i ministri legati a filo doppio agli interessi di Tehran. In Bosnia, temutissimi a Zenica, saranno ricercati dall’Intelligence di mezzo mondo quando, durante la visita del papa a Sarajevo nell’aprile 1997, preparano un attentato “dimostrativo” contro di lui; un oscuro episodio che provocò poi l’uccisione del responsabile dei Servizi segreti della Bosnia musulmana. E arrivarono in Albania – qui al seguito degli interventi finanziari dell’Arabia saudita – e la stampa americana scoprì la cosiddetta “Albanian connection”, i marine arrivarono a Tirana ad arrestarne alcuni esponenti. Gli attentati successivi all’ambasciata americana a Nairobi sono stati fatti risalire proprio alla vendetta dell'”Albanian connection” per quegli arresti in Albania. Eppure, ben presto, le formazioni irregolari dei combattenti islamici sarebbero diventate preziose nell’arruolamento e addestramento dell’Uck.
Il fatto è che i Balcani sono stati il terreno di conflitto prima dentro l’Europa e poi tra Europa e gli Stati uniti. L’Unione europea non esisteva quando decise, per la prima volta a Maastricht, con la commissione Badinter, di non accettare riconoscimenti d’indipendenza violenti e contro le minoranze interne. Dopo soli due giorni il fronte unitario europeo venne rotto dalla Germania e dal Vaticano. Si avviava così lo smembramento dell’ancora esistene Federazione jugoslava che diventava terra da spartire mentre si apriva il conflitto sulla leadership in Europa. Gli Stati uniti, che fino a quel punto con Cyrus Vance e il Segretario di stato James Baker, ancora non avevano deciso e trattavano per tenere in piedi la Jugoslavia – pur avendo il Congresso Usa finanziato fin dal 1989-90 i partiti nazionalisti – decisero di occuparsi dei Balcani, ponte geopolitico del sud-est verso l’Est e tutto l’Oriente.
Nessuno pensi che l’apertura di questo fronte sia stata indolore per gli Stati uniti. Persero la faccia e la vita i più importanti esponenti della politica estera americana. Cyrus Vance, zittito dal riconsocimento anche americano della Bosnia Erzegovina, il 14 aprile, due giorni prima dell’inizio della guerra civile; il plenipotenziario Frazer caduto in uno strano incidente sul monte Igman a Sarajevo nel 1994; l’ex presidente Jimmy Carter, inviato di Clinton, “bruciato” nei suoi rapporti amicali con Radovan Karadzic; l’inviato Ron Brown che si schianta con l’aereo in uno “strano” incidente su Dubrovnik; le dimissioni forzate del comandante americano dell’Ifor-Nato in Bosnia, generale Leighton Smith dissenziente con Clinton; l’uscita di scena del nemico giurato di Holbrooke, Robert Gallucci, suo successore ufficiale.
Poi le guerre, prima in Bosnia, per interposta “strage”, e in Kosovo, sempre per interposta “strage”. Guerre umanitarie, diceva il governo italiano. Invece era la nuova strategia americana, di Holbrooke-Clinton: il ritorno del protagonismo armato Usa in Europa attraverso Bosnia Kosovo e Macedonia: “I Balcani – dichiarava Holbrooke – sono la prova che, senza di noi, l’Europa è impotente”. A questo sono servite le guerre a precipizio che hanno insanguinato Bosnia, Kosovo e Macedonia. E sono tutt’altro che concluse.
A proposito. Massimo D’Alema, nel suo giusto sforzo di attaccare il suprematismo razzista di Berlusconi, sbaglia, proprio alla luce di quanto raccontato, e mente. Come fa a chiedere ora una guerra “mirata” che rifiuti un conflitto indiscriminato, se nasconde e dimentica di dire che la guerra che lo ha promosso a statista, quella del 1999 dove lui dichiara di avere avuto il “coraggio di mettere a rischio la vita dei soldati italiani”, ha ucciso indiscriminatamente – ricordano il presidente jugoslavo Kostunica e Amnesty International – migliaia di civili?