E adesso da stranieri a cittadini

L´Italia è sempre più paese d´immigrazione. Negli ultimi 5 anni gli immigrati sono raddoppiati, portando il nostro paese, quanto a presenze, a livello di Spagna e Gran Bretagna. Oggi l´incidenza sulla popolazione è vicina alla media europea (5%), anche se ancora lontana dal 9% circa di Austria o Germania. Il mutamento nella composizione della società italiana è ancora più evidente se facciano scorrere il tempo in un rapido flash back: nel 1970 gli immigrati erano solo 140mila. Numeri di un´altra era; destinati a mutare vorticosamente a partire dagli anni ´80, quando con il convulso intensificarsi dei processi di globalizzazione, hanno iniziato a circolare non solo merci anche persone. È dunque un´Italia sempre più multietnica quella che abbiano davanti. Un paese in cui l´immigrazione ha mutato il paesaggio sociale, investendo piccoli e grandi centri. Un´immigrazione il cui dato evidente è la sua pluralità etnonazionale, caratterizzata da provenienze dell´Europa dell´Est e balcanica, dal Maghreb e dall´Africa subsahariana; ma anche dalla crescente presenza di cinesi e indiani.
In Italia costruiscono ormai le loro biografie milioni di persone provenienti da altri paesi. Persone che intendono restare, come ci dice anche il fenomeno dei ricongiungimenti familiari; così come quello della presenza, nelle prime classi scolastiche, di bambini con nomi dai suoni un tempo esotici. Segni che ci dicono che l´orizzonte d´attesa è ormai stabilizzato; che il progetto di vita si fa qui. Un progetto che alimenta anche percorsi segnati da una rapida mobilità sociale verticale, testimoniata dal crescente numero di imprenditori tra gli immigrati. Un fenomeno che dà vita, inoltre, a un´inaspettata rinascita: quella dell´italiano divenuto lingua veicolare tra le diverse comunità. Mostrando una ritrovata potenza evocativa della parola che permette di salvare, almeno un po´, la nostra lingua dall´immeritato oblio imposto dal trionfo dell´idioma globale.
Ma stabilità non significa mettere la sordina alla spaesante sensazione della “doppia assenza”, a quella sofferenza interiore che fa sentire, talvolta a lungo, gli emigrati né, più, parte della società d´origine né, ancora, di quella in cui vivono. Significa rapportarsi non solo con la ricostruita e talvolta onnivora comunità di origine, tenuta insieme dagli aviluppanti fili delle reti migratorie, ma sempre più con le istituzioni. Esito inevitabile e gradito, se si vuole evitare che la società diventi un reticolo di “comunità non comunicanti”. Un pericolo che rischia di scardinare ulteriormente una società, come quella italiana, a macchia di leopardo quanto a civismo. Per lungo tempo l´immigrazione è stata percepita in Italia come fenomeno transitorio. Quando i numeri e i fenomeni strutturali che ne erano all´origine sono divenuti evidenti, la rimozione sociale ha preso altre vie: all´immigrazione si è guardato nell´ottica del mercato del lavoro e dell´ordine pubblico. L´Italia non è invece riuscita a pensare come integrare culturalmente gli immigrati. Non ha optato né per un modello assimilazionista, né per uno multiculturalista. Si è affidata semplicemente allo spontaneismo sociale, sfuggendo certo alle rigide e insidiose gabbie dei modelli ma contando, ancora una volta, sul “fai –da- te”; delegando spesso a attori sociali dall´ottica inevitabilmente settoriale, l´ennesima serie di supplenze istituzionali. Quella scorciatoia non porta più da nessuna parte. Anche perché bussa alle porte il nodo della cittadinanza. Siamo il paese europeo in cui l´accesso alla cittadinanza, legato allo ius solis, è oggi tra i più lunghi e accidentati . Il tema è delicato e va sottratto a derive populiste, magari di segno opposto. Ma concedere la cittadinanza a coloro che sono da tempo nel nostro paese e contribuiscono a farlo crescere economicamente è un passo fondamentale per produrre maggiore integrazione. Tanto più le diverse comunità si sentiranno parte di un tessuto istituzionale condiviso, tanto più fenomeni di estraneità o addirittura di mancata lealtà politica saranno ridimensionati. Un passaggio che, nel frattempo, può essere sperimentato attraverso forme di “cittadinanza amministrativa”: chi paga le imposte e risiede da anni in Italia deve poter votare almeno per il governo locale. Nell´Italia del XXI secolo la nuova polis si nutre anche di queste forme di partecipazione.