Dujail e il sogno di Khomeini

Il fallito attentato e la successiva repressione di Dujail, al centro del primo processo a Saddam Hussein, ebbe luogo l’undici luglio del 1982 e costituì un vero punto di svolta nella storia della guerra Iran-Iraq. Il conflitto con Tehran, iniziato da appena diciotto mesi, stava volgendo al peggio, con la minaccia di uno sfondamento iraniano delle linee irachene, anche grazie al sostegno dato all’esercito di Tehran dai movimenti curdi e sciiti iracheni – «al Dawa», il partito filoiraniano e filo Usa dell’attuale premier Ibrahim al Jafaari e il Consiglio Supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) che oggi controlla governo, parlamento e ministero degli interni. Questi ultimi durante la primavera-estate di quell’anno, erano riusciti a provocare vere e proprie sollevazioni in varie città a maggioranza sciita del sud da Basra, a Hilla, a Nasseriya aprendo un vero e proprio «fronte interno» della guerra Iran-Iraq. Quella caldissima mattina dell’undici luglio del 1982, a Dujail, una cittadina a popolazione mista sciita e sunnita a sessanta chilometri a nord di Baghdad, il presidente Saddam Hussein aveva deciso di fare uno dei suoi giri di propaganda presso le popolazioni sciite, che fornivano la gran parte della truppa ma anche molti ufficiali all’esercito impegnato nella sanguinosissima guerra con l’Iran. La visita, ripresa dalla Tv irachena, era andata per il meglio quando, alla periferia del paese, il convoglio di auto presidenziali venne attaccato da un commando di uomini armati del partito sciita fondamentalista «al Dawa», da tempo impegnato in una campagna di attentati «terroristici» contro il governo «ateo ed empio» di Baghdad. Saddam Hussein sopravvisse. A morire furono dieci delle sue guardie e una quindicina di assalitori, in gran parte abitanti di Dujail. Altri riuscirono a fuggire e si rifugiarano in Iran. Saddam, a questo punto, tornò in paese e tenne un breve discorso minacciando di «sradicare i pochi traditori di Dujail alleati del nemico iraniano». Seguirono arresti di massa e la distruzione di case e palmeti dei veri o presunti membri del commando. Degli arrestati 143, ritenuti parte del complotto, vennero giustiziati negli anni successivi mentre altri, tra i quali molte donne, ragazze e anziani, vennero portati nel carcere di Abu Ghraib e poi in un campo di prigionia in una zona desertica nel sud dell’Iraq dove molti morirono per le difficili condizioni di prigionia.

L’attentato di Dujail è stato uno dei più gravi contro il presidente Saddam Hussein e cadde in uno dei momenti di maggiore difficoltà del regime iracheno quando non pochi avevano cominciato a dubitare della leadership di Saddam Hussein. Nel 1982 le forze iraniane avevano contrattaccato con una energia inaspettata e l’esercito iracheno era stato costretto ad abbandonare gran parte dei territori iraniani che aveva occupato nel 1980, all’inizio della guerra, registrando pesanti perdite e almeno 40.000 prigionieri.

L’esercito iracheno, proprio per il coraggio e la fedeltà delle truppe sciite, riuscì a fermare gli iraniani sul confine, ma non c’è dubbio che le sconfitte del 1982 assestarono un colpo durissimo a Saddam Hussein, tanto che il Consiglio del Comando della Rivoluzione decise, scavalcandolo, di proporre all’Iran nel giugno del 1982 un cessate il fuoco basato sul ritorno alla status quo. Se Khomeini avesse accettato il presidente avrebbe perso parte del suo potere e forse anche la vita. Ma Khomeini rifutò e Saddam fu salvo. Proprio quella estate, mentre Israele assediava Beirut (giugno-agosto) e riforniva di armi l’Iran, Saddam Hussein prima annunciò il ritiro da tutti i territori iraniani trasformando una guerra d’aggressione in un conflitto difensivo, e poi «normalizzò» manu militari, approfittando anche dell’attentato di Dujail, la stessa direzione del partito e dello stato.