Dico subito che non riesco a distinguere, nella successione di scelte assunte da Rifondazione ultimamente, un piano A da un piano B come invece riesce a fare Matteo Bartocci sul manifesto del 3 aprile. La sua ricostruzione e la sua analisi sono però sostanzialmente corrette. E concordo perfettamente con le conclusioni del suo ragionamento: la prevalenza da accordare al che cosa vuol fare questa sinistra rispetto al che cos’è.
Ma prima di rilevare questa concordanza di vedute, che mi sembra incentrarsi sulla questione fondamentale, è doveroso e utile secondo me richiamare l’attenzione sulla sostanziale coerenza e continuità – per quanto inevitabilmente complesse e sofferte in un quadro economico, sociale e politico in rapida destrutturazione – di una linea che va dal tentativo di offrire una sponda politica organica ai movimenti, alla svolta della nonviolenza, all’iniziativa della Sinistra Europea, alla campagna elettorale per far sloggiare da Palazzo Chigi il centrodestra sulla base di un articolato programma di governo, all’assunzione diretta di un alto ruolo istituzionale, alle continue mediazioni per tenere in piedi l’attuale governo di centrosinistra impedendogli di regredire su posizioni neocentriste e neoliberiste, infine alla riflessione in corso sulla ristrutturazione del sistema politico, possibile (e inevitabile) anche a sinistra, a seguito del processo di formazione del partito democratico.
Del resto, se ti cambia il mondo attorno che fai? Rimani attaccato al tuo piano A ? In politica, per definizione debbono esserci interessi sociali e valori ideali da rappresentare e da tutelare sempre, nelle forme via via possibili e praticabili.
Oggi all’intera sinistra italiana capita di partecipare a un governo eterogeneo il cui portavoce, a proposito di una questione delicata e allarmante come quella della Telecom, afferma letteralmente che le decisioni del Cda sono sacre. Per non parlare, naturalmente, di decine di altri episodi e atti che rivelano una complessiva subalternità del centrosinistra e di pezzi importanti della sinistra storica alla cultura e agli interessi degli uomini dell’economia e della finanza per i quali il mondo del lavoro è una espressione arcaica e fastidiosa da mantenere nel ghetto dei salari, degli stipendi e delle pensioni ai limiti della sopravvivenza.
Da questo punto di vista, si deve ricordare innanzitutto a noi stessi che l’attuale alleanza di governo è una scelta forzata, il meglio o il meno peggio possibile. Dall’altra parte, purtroppo, c’è una destra senza cultura istituzionale, che ha buttato alle ortiche qualsiasi residua parvenza di osservanza liberale.
Seguo con attenzione il dibattito interno ai Ds e alla Margherita. Spesso non si riesce nemmeno a capire come potranno arrivare a fare un partito unico eppure appaiono fortemente determinati a farlo. Ed è in conseguenza di tale evento che, provvidenzialmente (eterogenesi dei fini?), sembrano riaprirsi gli spazi per una riaggregazione a sinistra. Di più: per la rinascita di un vero, importante, partito di sinistra che sappia coniugare la migliore tradizione comunista (il partito di lotta e di governo) con la migliore tradizione socialista italiana (da Nenni a Lombardi a De Martino) e con il radicamento nel mondo del lavoro e dei giovani ancora assicurato, nonostante tutto, dai sindacati e dai movimenti.
Che cos è questa nuova sinistra? Non si sa, lo vedremo. L’importante è, appunto, che cosa vuol fare. Per quello che mi riguarda vedo almeno due tematiche strategiche sulle quali essere sinistra e fare da sinistra, insieme a quelle legate al mondo del lavoro, allo sviluppo economico e sociale, e alla centralità dei produttori e dei cittadini. La prima: la rottura del muro fra i professionisti della politica e la società (crisi dei partiti, costo della politica, questione morale, legalità, etc.). La seconda: l’opzione ambientalista, oggetto nei giorni scorsi di una mia lettera aperta a Fausto Bertinotti.
Non a caso, ambedue queste tematiche sono riuscite a farsi largo nell’assemblea di Carrara. Anche in termini autocritici. C’è indubbiamente molto altro da mettere a fuoco e da fare. Ma è bene che si cominci, come opportunamente conclude Bartocci. E spero che questo approccio, per così dire, pragmatico animi in questa fase decisiva anche i protagonisti di una possibile riaggregazione a sinistra. Con gruppi dirigenti che abbiano la sensibilità e la generosità di aprire un cantiere non recintato.