DSSA. Storie di agenti, spie e depistatori

Come era facilmente prevedibile, i riflettori sullo scandalo del Dssa (il cosiddetto “Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo”) si sono subito spenti. Lo scorso 1° luglio le procure di Genova e Milano, con 25 perquisizioni e l’arresto di Gaetano Saya, Riccardo Sindoca e dell’ispettore milanese Salvatore Costanzo, avevano fatto scoppiare il caso. Il reato contestato: associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di funzioni pubbliche in materia di prevenzione e repressione dei reati. Le indagini erano partite un anno prima inseguendo negli ambienti dei mercenari e delle guardie del corpo la pista che aveva portato Fabrizio Quattrocchi in Irak, sequestrato e ucciso a Baghdad il 14 aprile del 2004.

“Destra nazionale” story
Il Dssa nato con “finalità di monitoraggio e contrasto del terrorismo” dopo l’attentato dell’11 marzo 2004 a Madrid, si era rivelato in realtà una non trascurabile congrega di spie, neofascisti, poliziotti, carabinieri, ex-gladiatori e depistatori di professione, ultima creatura in ordine di tempo di un gruppo già attivo da qualche anno sotto la denominazione di “Destra Nazionale”.

L’organizzazione, a sentire i promotori, venne fondata al fine di far rivivere il Movimento Sociale-Dn di Giorgio Almirante, dopo il “tradimento” di Gianfranco Fini. Il corrispondente sito-internet, oggetto di interrogazioni parlamentari già nel 2003 e articoli di denuncia per i suoi espliciti contenuti razzisti, fu anche parzialmente oscurato dalla magistratura milanese.

L’allarme nacque in seguito all’annuncio della costituzione di fantomatici “Reparti di Protezione Nazionale”, con tanto di divisa (basco, camicia e giubbotti grigi, con cinturone nero), pronti ad entrare in azione, in caso di pericolo, a supporto delle Forze Armate. Inutile dire che il pericolo veniva ravvisato nell’invasione in massa dei “nuovi barbari islamici”.

Ciò che però aveva suscitato maggior inquietudine era che “Destra Nazionale” annoverasse fra i suoi massimi dirigenti ex-poliziotti o poliziotti in servizio presso importanti Questure, come Milano, dove lo stesso coordinatore nazionale, Giuseppe Scarano, risultava svolgere attività di ispettore di Ps all’interno di un commissariato. Il gruppo in definitiva sembrava fare da sponda politica ad un piccolo sindacato, ancora in formazione, di poliziotti dichiaratamente fascisti: l'”Unione Nazionale Forze di Polizia”.

Ad onor del vero, nello stesso arcipelago neofascista, pur ricco di particolarità, eccessi e stramberie, il gruppo di “Destra Nazionale” non aveva mai goduto di molto credito. Il fatto stesso di assumere come simbolo lo stemma della Cia leggermente modificato, di qualificare i propri aderenti come ex-agenti segreti, con un passato da “gladiatori”, in rapporti di collaborazione con la Nato ed il Mossad israeliano, avevano fatto nascere più di un sospetto. Il vantare anche da parte del presidente di Dn, Gaetano Saya, l’appartenenza alla massoneria con l’altisonante titolo di “Maestro venerabile della Loggia Divulgazione 1”, non deve aver certamente contribuito a dissipare i dubbi.

Totalmente inesistenti, infine, le iniziative sul piano politico se si esclude l’annuncio, rapidamente svanito nel nulla, della presentazione in Lombardia di una lista, in occasione delle ultime elezioni regionali di aprile, con la candidatura a presidente di Stefano Tacconi, ex-portiere della Juventus e della nazionale, finito nei guai, lo scorso agosto, per possesso illegale di paletta stradale e falso tesserino da poliziotto, ovviamente forniti dal Dssa.

La “dottoressa”
Mitomani deliranti? Eppure la carriera del Dssa non è stata contrassegnata solo da improbabili progetti o finti incarichi. L’accesso alla banca dati del Viminale, ma anche i rapporti con i vertici degli apparati di sicurezza, il Sismi in primo luogo, si sono dimostrati veritieri, come i contatti con importantissimi uomini politici, tra gli altri, il vice-premier Gianfranco Fini. Sul sito ancora attivo di “Destra Nazionale”, ma anche sulle pagine alcuni organi di stampa sono state pubblicate nelle scorse settimane le prove fotostatiche di una corrispondenza non occasionale.

Non solo, nelle 130 pagine dell’ordinanza di conferma degli arresti domiciliari per Gaetano Saya e Riccardo Sindoca, i due massimi dirigenti del Dssa, emessa il 6 luglio dal Gip di Genova Elena Daloiso, si è testualmente scritto che “la costituzione del Dipartimento studi strategici antiterrorismo (Dssa) è stata comunicata con nota riservata inviata al presidente del Consiglio, al ministro degli Interni, al ministro della Difesa, al ministro della Giustizia e ad altre autorità”. Qualcosa di più, dunque, di una innocua “banda di pataccari” come il Ministro degli Interni Giuseppe Pisanu ha teso a ridimensionare l’intera faccenda.

Ancor prima che scoppiasse lo scandalo, sul primo numero di “News Settimanale”, in edicola il 20 maggio scorso, in un lungo servizio originato dalla pubblicazione di diversi fotogrammi di un video girato a Baghdad, dove Fabrizio Quattrocchi veniva ritratto nella sua attività non di “body guard da discoteca”, ma di “agente contractor” nel corso di “una missione coperta” volta a “combattere i terroristi”, si è presentato il Dssa come “una rete invisibile contro il terrore”, definita nel gergo dei mercenari come “la Dottoressa”, presente in Irak in operazioni ad alto rischio con “mezzi in dotazione alle forze militari presenti in quel teatro” e “permessi governativi” rilasciati dal “dipartimento della Difesa degli Stati Uniti”.

Sui numeri successivi del settimanale si è anche rivelato come il video in questione fosse stato girato da un agente del Dssa e che Riccardo Sindoca, in due occasioni diverse, si fosse premurato di annunciare in anticipo alla redazione di “News Settimanale”, evidentemente utilizzato come canale privilegiato, la liberazione sia di Giuliana Sgrena che di Clementina Cantoni.

Quelli della “Legione Brenno”
Questo intreccio tra neofascisti e forze militari e dell’ordine non è nuovo. Viene da lontano: dall’immediato dopoguerra e dalle trame della “strategia della tensione”. Ma anche in anni più vicini a noi, ben dopo lo stesso scandalo della Loggia P2, le cronache si sono dovute interessare a vicende analoghe, quasi tutte ritenute a torto poco credibili, finite nel dimenticatoio o senza significative conclusioni giudiziarie: dalla Falange Armata, attiva nei primi anni ’90 come agenzia minatoria tesa ad alimentare un clima di tensione con lettere, bossoli spediti e telefonate minacciose, promossa con ogni probabilità da ufficiali della Settima divisione del Sismi, al presunto “golpe”, sullo sfondo di un traffico internazionale di armi, denunciato nel 1993 da Donatella Di Rosa, moglie di un tenente colonnello le cui rivelazioni costrinsero comunque a rivedere la catena di comando dell’esercito italiano troncando la carriera ad altissimi graduati, al “Progetto Arianna” nel 2000, un’organizzazione antidroga clandestina costituita a Latina da appartenenti alle forze dell’ordine, per finire ai recentissimi “Elmetti Bianchi”, una fondazione a carattere internazionale alimentata soprattutto da ex-poliziotti, spuntata a lato del caso Telekom-Serbia, animata in Italia da un neofascista assai conosciuto per i suoi trascorsi in organizzazioni eversive e nella massoneria.

Ma molti si saranno certamente anche dimenticati della cosiddetta “Legione Brenno”, nata in coincidenza con lo scoppio della guerra serbo-croata per difendere la “nuova frontiera dell’occidente minacciata”, venuta alla luce solo nel 1998, seguendo le orme di un sanguinoso conflitto a fuoco con agenti di polizia tre anni prima a Marghera.

La “Legione Brenno”, ispirata ai cavalieri di antichi ordini religioso-militari come i Templari, si scoprì presto essere stata fondata da alcuni ex-carabinieri interessati al business della sicurezza e dell’assoldamento di milizie private nelle guerre in corso. Esattamente come il Dssa.

L’apparato americano
Sarebbe sbagliato sottovalutare quanto sta avvenendo. E’ in corso da tempo una guerra senza esclusioni di colpi all’interno degli apparati di polizia e dei servizi segreti italiani per assicurarsi posizioni di comando, nella prospettiva della costituzione di una sorta di “superpolizia” e di un’unica centrale di intelligence contro il pericolo terroristico. La partita riguarda ovviamente il loro controllo anche da parte del partito “americano” in Italia.

I contrasti tra il Sismi e la Cia legati all’esecuzione di Calipari, al caso del fallito attentato l’autunno scorso all’ambasciata italiana a Beirut e al rapimento a Milano, all’inizio del 2003, dell’egiziano Abu Omar, sono tutte tappe di questo conflitto. Non è da escludere che anche la vicenda del Dssa con i suoi misteri sia parte di questo scontro.

In un’intervista ad agosto, sempre a “News Settimanale”, Gaetano Saya ha raccontato della presenza di uomini del Dssa all’interno del Sismi, degli appoggi e delle collaborazioni scambiate, ha svelato l’indirizzo di sedi coperte del servizio a Roma, di essere a conoscenza di chi sparò a Giorgiana Masi e a Carlo Giuliani, di quanto realmente accaduto a Calipari, ad Abu Omar e ai sequestrati italiani in Irak. Forse vanterie, forse minacce concrete. Il fatto è che il silenzio è comunque calato.