VICENZA – «Guardi, guardi qua. I Ds perdono voti in 444 collegi su 475. Recuperano in 31 soltanto». Sul tavolo di Ilvo Diamanti, sismografo insonne della società che vibra sotto la politica, franano le cifre di un crollo epocale. L’elenco non finisce mai: meno 14 per cento, meno 11, meno 13. Nella sua casa del profondo Nord, Diamanti legge il bollettino di guerra e la montagna di carta che invade la sua scrivania da professore nomade e controcorrente diventa un fiume, sembra l’acqua che irrompe nella barcaccia Ds che affonda, invade i compartimenti stagni, mentre i comandanti – ghigna il sociologo – non si schiodano dalla plancia.
In casi simili, ci si ammutina. E qui, professore?
«Qui l’equipaggio non perde nemmeno tempo a discutere col comandante, perché col comandante non c’è dialogo. La plancia è come se fosse vuota. Così i marinai fanno la cosa più logica. Cambiano nave».
Cosa uccide i Ds?
«Questo partito, che è ancora pieno di forze vive, si è lasciato berlusconizzare. Ha accettato la centralità del Capo e dei media. Ora, si ritrova a inseguire Berlusconi sull’unico territorio in cui è imbattibile, quello catodico. La leadership si è lasciata sedurre dalla convinzione che il Cavaliere rappresentasse il postmoderno, una mutazione epocale inevitabile. Così è entrata nel suo videogame, fino al punto di autoconvincersi che la partita fosse persa in partenza».
La trappola della profezia che si autoavvera…
«Nessuno mi toglie dalla testa che è per questo che hanno mandato avanti Rutelli. Sono ostaggi della Tv. Oggi la sinistra annuncia le sue decisioni non più alla base, ma ai salotti di Vespa e Costanzo. E’ diventata una struttura così leggera che non riesce più a comunicare con la gente. Tutto cambia attorno ai vertici ds, ma loro per anni non hanno fatto un congresso!».
E ora, che futuro?
«Perché le chiedete a me queste cose? Non sono un grillo parlante, non sono un maitre à penser. Essere visibile non mi interessa: l’ascolto della società funziona assai meglio se sono invisibile».
E allora?
«E allora giornali e partiti dovrebbero riprendere l’abitudine di interpellare le persone, prima che gli esperti di persone. Perché non andate a sentire militanti e aministratori? C’è troppa Roma nella politica e nell’informazione. Entrambe dovrebbero tornare all’ascolto delle voci deboli».
La sinistra non lo sa più fare?
«La sinistra ha perso contatto con le componenti sociali che rappresentano la trasformazione. Tranne l’aggancio all’Euro, non ha lasciato un segno forte in cinque anni di governo. Soprattutto non ha avuto un’identità sua da proporre. Per questo i Ds, con D’Alema e Veltroni occupati nelle loro elezioni separate, non hanno saputo esprimere una visibilità autonoma dentro l’Ulivo».
E adesso?
«Il risultato lo vedono anche le pietre. Una Caporetto. La sinistra più debole d’Europa. I Ds che si riducono all’Etruria. Alla Toscana, alle Marche e dintorni. E rischiano di diventare quella che Marc Lazar, il politologo francese, chiama la Lega Centro; a far rima con quella che fu la Lega Nord».
Che pensa di questa classe dirigente?
«Ma non vede? Non c’è sangue nuovo. Non ci sono bravi sindaci e amministratori diessini che vengono lasciati emergere. Sono semmai i dirigenti nazionali che si rifugiano a fare i sindaci. Nella leadership non c’è un Fistarol, non c’è un Bassolino, un Minardi, un Cimicchi, un Luccarini! Eppure il materiale buono non manca. Mi dica, perché ai vertici non approdano mai gli uomini delle Marche o dell’Emilia, regioni dove i quadri sono espressi dalla base? Il partito è rimasto elitario, centralista, aristocratico. É come un’oligarchia che si autoconserva. Riflesso letale, in tempi di cambiamento».
Un partito vecchio?
«Partiti vecchi. E’ incredibile. Ds, Rifondazione e Comunisti italiani hanno perso dalle Alpi alla Sicilia e i vertici che fanno? Discutono di nomi! Riducono il problema a una resa dei conti all’interno della medesima leadership! Ma qui è tutta la leadership in quanto tale a essere messa in discussione! Tutto il gruppo dirigente di marca Fgci che ha accompagnato il partito dalla Bolognina in poi! Partiti senili, rimasti immobili mentre l’elettorato cambiava a vista d’occhio, veniva ormai da aree che col Pci non avevano avuto a che fare…».
Perché è successo?
«Perché i dirigenti della sinistra hanno continuato a cullarsi nell’illusione che il voto a Berlusconi venisse da pensionati e casalinghe sedotte dalla Tv. E’ roba fuori dalla realtà. La storia delle casalinghe è vecchia del ‘94; oggi tutto s’è rovesciato. Guardi questo foglio. Nel Nord l’Ulivo ha il 30 per cento di pensionati, la Casa della Libertà il 21 per cento».
Perché i giovani votano a destra?
«Lo dice anche Mannheimer: a sinistra i giovani sono in fuga in tutt’Italia, i vecchi e le casalinghe aumentano. Capita perché il partito non è più il luogo del cambiamento, ma il suo opposto. E’ il rifugio di chi chiede protezione dal cambiamento».
Cosa non si è capito?
«Le cifre parlano da sole. I Ds hanno perso di più proprio dove si sentivano sicuri, nel Mezzogiorno. E dove stanno, invece, i pochi collegi in ripresa? Nel vituperato Nord, dato per irrimediabilmente perduto! Non le basta?».
No, professore.
«Non si è capito una cosa fondamentale. L’anticomunismo continuava a esistere. Si badi bene, i comunisti non fanno più paura. Ma sopravvive, nella pancia dell’Occidente, il sedimento della frattura tra i due mondi. Il muro resiste; nelle teste. Berlusconi l’ha capito benissimo e ha saputo sfruttare in termini di marketing questo riflesso condizionato. Se avesse ascoltato i suoi consiglieri colti, avrebbe fallito».
L’ha riempito di significati suoi?
«Certamente. Gli basta far scattare l’equazione comunismosenilitàimmobilismoburocrazia. Comunismo come distanza dall’impresa. Niente di più facile, con l’inamovibilità di questa classe dirigente che è nata tutta dentro il Pci, e dunque fa scattare il fattore Kappa».
Si è capita la questione settentrionale?
«Oggi Fassino muove bene, e difatti è proprio a Settentrione che si vedono spiragli di ripresa. Ma in passato si è banalizzato tutto, ridotta la cosa all’alleanza o meno con la Lega. Si è creduto che il male del Nord fosse la Lega, non ciò che la Lega rappresentava. Quando Bossi cominciò a perdere voti, si pensò che la questione si fosse risolta e non se ne parlò più. Iginio Ariemma, che doveva monitorare il Nord per Botteghe Oscure, ha cercato di spiegare che il pericolo restava, ma gridava nel deserto. Così se n’è andato, dopo aver scritto chiaro in un libro: la casa brucia».
Il problema infatti rimase.
«Inevitabilmente, è arrivato il brusco risveglio, nel ‘99, con le elezioni europee, la questione della devolution e le nuove elezioni regionali che riaccendevano la tensione tra Roma e il Nord».
Intanto i leghisti traslocavano in Forza Italia…
«Anche qui non si è voluto accettare in fatto che Berlusconi non fosse solo un’anomalia, una questione di persona, ma l’offerta di rappresentanza a ceti che non riuscivano a trovare casa altrove. Nessuno discute il conflitto d’interessi del Cavaliere; ma è errato ridurre il suo successo all’influsso delle Tv. Ma sia chiaro: non voglio pontificare. Non voglio insegnare nulla a nessuno. Non sono un militante. Faccio un altro mestiere. Guardare la realtà».