Ds, assalto al Palazzo

Sbaglierebbe chi prestasse scarsa attenzione a quanto in queste ore avviene all’interno dei Ds. Non si tratta soltanto del travaglio di un ceto politico né sono in gioco solo gli equilibri interni a un partito, i suoi organigrammi. In gioco è il futuro prossimo (e non solo) di gran parte della sinistra di questo paese, dunque qualcosa che ci riguarda da vicino e in qualche misura direttamente ci coinvolge.
Dalla riunione della Direzione dei Ds, riunitasi il 14 ottobre, l’asse D’Alema-Fassino, allargatosi alla componente di Morando, è uscito vincente, radicalizzando le scelte già marcatamente moderate compiute nel Congresso di Pesaro. Non c’è terreno su cui la maggioranza che guida il partito non abbia segnato un arretramento esplicito. È una scelta di scontro con la minoranza, collocata su posizioni di apertura ai movimenti e alla sinistra alternativa, e un messaggio ai poteri forti, sempre meno soddisfatti delle performances del governo Berlusconi. L’idea è chiara: riproporsi come partner affidabili del padronato (anche internazionale) e come garanti della «modernizzazione» neoliberista. È la linea che ha già portato al disastro in questi ultimi cinque anni. Viene riproposta e estremizzata, condotta all’esasperazione, anche attraverso l’attacco all’articolo 11 della Costituzione e la riapertura del conflitto con la Cgil. Tutto pur di ritornare a palazzo Chigi: l’esperienza passata, purtroppo, non insegna nulla.
Dicevamo che non c’è terreno sul quale presidenza e segreteria Ds non abbiano assunto posizioni ultramoderate. Si pensi a quella che resta, nonostante tutto, la questione fondamentale, cioè la guerra. Nel giro di pochi giorni si è passati dal rifiuto dell’invio degli alpini in Afghanistan alla “assunzione critica” della dottrina Bush. Una nuova guerra contro l’Iraq appare ora legittima. Il cancelliere tedesco Schroeder, celebrato per la sua coraggiosa scelta pacifista all’indomani della vittoria elettorale, non viene più citato ed è prontamente sostituito con il vero modello di sempre, il muscoloso Blair. Ha ragione Pietro Ingrao: siamo dinanzi alla formale liquidazione della Costituzione italiana. Un altro pesantissimo colpo di maglio non solo alla storia del movimento operaio e democratico, ma anche alla lotta antifascista e alla Resistenza che hanno reso possibile quella Costituzione.
Lo stesso si dica per la questione sociale, per le politiche economiche, per la catastrofe della Fiat. Chi, l’altroieri sera, ha avuto modo di ascoltare le dichiarazioni dell’on. Fassino, ospite di Bruno Vespa, ha di che riflettere. Critiche alla Finanziaria, certo: ma prima di tutto perché non piace alla Confindustria. Critiche alla politica economica del governo, certo: ma sembrava di sentir parlare Duisenberg o qualche altro guardiano di Maastricht e di quel Patto di stabilità che sta causando la distruzione dei sistemi di welfare e la recessione di gran parte dell’Europa. Allarme per il disastro Fiat, certo: ma anche difesa a oltranza dei dogmi liberisti e rifiuto pregiudiziale dell’unica soluzione – l’ingresso del pubblico nel capitale e nella guida dell’azienda – in grado di salvare l’occupazione e le stesse prospettive della più grande industria nazionale. E infine, ciliegia sulla torta, l’imbarazzo sulla Cgil, una presa di distanza di fatto dallo sciopero generale del 18 ottobre attraverso la diluizione delle ragioni per cui è stato indetto, prime fra tutte la difesa dell’art. 18 e la lotta contro il Patto per l’Italia. Non è passata una settimana da quando l’on. Rutelli ha dettato la linea. «Lo sciopero? Una protesta indetta un secolo fa, un’arma puntata contro l’unità sindacale». Preoccupati che il presidente della Margherita li sostituisca nel cuore di imprenditori e banchieri, Fassino e D’Alema si precipitano a far propria questa interpretazione. La Cgil non si faccia illusioni, non è dalla dirigenza dei Ds che le verrà un sostegno nel momento del bisogno.
In questo quadro c’è una sola novità positiva: è la presa di posizione della sinistra Ds, che si è differenziata dalla linea della segreteria. Sulla guerra e la globalizzazione liberista, sui diritti del lavoro e sul welfare, sullo sciopero generale e sull’apertura ai movimenti, il documento di questi compagni dice cose interessanti. Mentre la maggioranza del loro partito imbocca la strada del più acritico conservatorismo e si congeda dalla storia del movimento operaio e socialista, essi confermano una posizione politica differente. A questi compagni a cui guardiamo con attenzione e con stima, consapevoli del travaglio che stanno attraversando, diciamo che è giunto il momento di rendere più evidente una opzione alternativa alla linea Fassino-D’Alema. A partire dalla guerra, dallo sciopero Cgil e dalla vicenda Fiat.

* Segreteria nazionale
Partito della Rifondazione comunista

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