Droghe, cresce il fronte delle Regioni contro la legge

Non erano d’accordo. Eppure, una dopo l’altra, le Regioni italiane scendono in campo e allargano il fronte contro la legge sulle droghe Fini-Giovanardi. Lo fanno – ultime, due giorni fa, il Lazio e l’Umbria – a colpi di ricorso alla Consulta rilevando quegli aspetti del maxi decreto «lesivi delle prerogative delle Regioni stabilite nel titolo V della Costituzione», che attribuisce loro competenze in materia di sanità.
I punti sui quali gli enti sollevano l’illegittimità costituzionale sono sempre gli stessi: primo il fatto di «essere state esautorate completamente dalla discussione parlamentare sul disegno di legge e di non aver mai convocato la Conferenza Stato-Regioni». Cosa che lede il principio di «leale collaborazione» previsto dalla Costituzione. Una scelta ben precisa quella del governo Berlusconi, che ricorse due volte al voto di fiducia per approvare le norme, inserite nel decreto antidoping sulle Olimpiadi invernali di Torino, cinque giorni prima dello scioglimento delle camere.
In più, «le Regioni sono praticamente costrette – si legge nella nota della regione Lazio – a concedere l’accreditamento alle comunità terapeutiche private», le quali possono, grazie alla legge proibizionista 49/2006, d’ora in poi rilasciare i certificati di tossicodipendenza che erano, prima, di competenza dei soli Sert. Si apre così un conflitto di interessi, essendo le comunità un’alternativa al carcere, e si spiana la strada all’esecuzione penale dei privati.
Prima delle ultime due, ma solo per caso, avevano presentato il ricorso alla Consulta l’Emilia Romagna (il 10 aprile), la Toscana (il 19) e la Liguria (il 20). Molto probabilmente arriveranno nei prossimi giorni il Piemonte – la discussione è prevista nella seduta della prossima settimana – e la Puglia che dovrebbe decidere il 28 aprile. Altre ci stanno lavorando, per presentare il ricorso entro la fine di aprile, cioè entro i 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (28 febbraio).
«La prevaricazione istituzionale da parte del governo è stata talmente evidente che non c’è stato bisogno di alcun coordinamento tra le regioni», spiega Luigi Nieri (Prc), l’assessore al bilancio della regione Lazio che per primo ha avanzato la proposta, votata poi all’unanimità dalla giunta.
Stessa compattezza tra gli assessori umbri che hanno dato mandato fin da subito, ai vari uffici legali, di lavorare al ricorso. «Spetta ora al nuovo governo – dice l’assessore Damiano Stufara – procedere all’abrogazione della legge, così come prevede il programma dell’Unione, e all’approvazione di un nuovo testo per prevenire, recuperare e contrastare le tossicodipendenze, abbandonando le fallimentari politiche della tolleranza zero e rilanciando, come sancito dal parlamento Europeo, vere politiche di prevenzione e riduzione del danno». E proprio per intervenire su questi ultimi due punti la regione Lazio ha stanziato, nel bilancio 2006-07, 12 milioni di euro, non senza aver consultato le varie strutture del pubblico e privato sociale regionali. «Non possiamo più permetterci – conclude Nieri – le carceri piene di immigrati e tossicodipendenti».
Ma il percorso degli enti locali, non solo quelli «rossi», viene da lontano. Fu innanzitutto a Bologna, durante la partecipata «Conferenza delle Regioni sulle dipendenze» del febbraio 2005, organizzata dai cartelli nazionali «Non incarcerate il nostro crescere» e «Confinizero», che si stabilì, per la prima volta, un ponte tra amministratori, operatori e consumatori. Un inizio per la costruzione di una rete antiproibizionista nazionale, che si affermò quando, il 7 dicembre 2005, gli enti locali disertarono in massa la IV conferenza governativa di Palermo per incontrarsi, invece, a Roma.
«E ora – dice Franco Corleone – confidando che l’Unione faccia la sua parte, mi aspetto dai giudici altri ricorsi, quelli sull’aspetto penale della legge». E’ la riflessione di un ex sottosegretario alla giustizia.