Dove le donne non festeggiano. In Palestina, regno di Hamas

«Rifiutiamo di essere nemiche». Era questa la frase, scritta in italiano, che spiccava tra gli striscioni e i cartelli issati dalle donne palestinesi a Ramallah, durante la manifestazione per l’8 marzo. Una sorta di appello che le manifestanti, in gran parte velate, militanti nelle più note organizzazioni di donne palestinesi, hanno lanciato alle loro compagne che simpatizzano per Hamas allo scopo lavorare di comune accordo a migliorare la condizione di tutte le donne, senza fare marcia indietro nel tempo. Il movimento islamico, vincitore delle elezioni del 25 gennaio, non fa mistero di voler fondare in futuro legislazione palestinese interamente sulla «sharia», il codice coranico. Sino ad oggi però ha adottato una linea morbida riguardo i temi sociali più scottanti. I dirigenti islamici devono anche tenere in considerazione lo stile di vita tradizionalista ma non integralista di gran parte della popolazione in Cisgiordania e Gaza nonché della presenza di una minoranza cristiana molto influente. Tuttavia uno dei suoi leader a Gerusalemme, il neo deputato Mohammed Abu Teir, ha precisato più volte che il movimento islamico senza dubbio ritiene la sharia la principale fonte di legge. «Non devono esserci equivoci, questa manifestazione non ha lo scopo di scavare un solco tra le cosiddette donne palestinesi laiche e quelle religiose. Al contrario vogliano ricercare l’unità, un fine comune, ovvero la difesa di quelle leggi approvate negli anni passati, che ci hanno fatto compiere un passi in avanti in ogni settore. Per questo tutte noi dobbiamo essere consapevoli che tornare indietro non è pensabile né soprattutto accettabile», ha spiegato Amal Khreisheh, una leader storica del movimento delle donne palestinesi. Kreisheh ha sottolineato che l’occupazione militare israeliana, il muro in costruzione in Cisgiordania, la lotta per l’indipendenza e la libertà, rimangono obiettivi centrali per le donne palestinesi, allo stesso livello della battaglia per il miglioramento della loro condizione.

Le preoccupazioni però non mancano e le donne palestinesi non le nascondono. Hamas, forte di una maggioranza schiacciante di 74 seggi su 132, in futuro potrebbe modificare le leggi approvate negli anni passati a sostegno delle donne per renderle più aderenti alla sharia. Secondo «Freedom House» le donne in Cisgiordania e Gaza sono le più tutelate nel mondo arabo subito dopo le tunisine e le libanesi. «Nelle settimane passate abbiamo studiato eventuali contromisure all’abrogazione di quelle leggi che hanno migliorato la nostra condizione. Il nodo rimane il diritto di famiglia. Le palestinesi sono intenzionate a continuare il lavoro sul quel terreno molto difficile dove gli uomini dominano grazie alle tradizioni e non solo alla religione», ha spiegato Siam Barghuti della lista Badil (sinistra).

Dal voto del 25 gennaio la presenza delle donne nel Clp è uscita rafforzata. Tra le 16 parlamentari elette (la più nota è Hanan Ashrawi) ci sono anche sei deputate di Hamas che durante la campagna elettorale hanno proposto un nuovo modello di donna, più vicina alla tradizione e alla religione e meno legata ai canoni occidentali. Umm Nidal Farahat, leader del gruppetto di parlamentari del movimento islamico, ha precisato che Hamas non farà uso della coercizione e cercherà soltanto di «spiegare» alle musulmane palestinesi che portare il velo «rappresenta una accettazione del volere di Dio». A suo avviso «per migliorare la condizione delle donne occorre che possano essere partecipi dello sviluppo e della costruzione della società, delle lotte e della resistenza, essere compagne ad ogni livello insomma». L’atteggiamento di Hamas dipenderà anche dalla composizione del governo. «Se sarà di coalizione allora le forze laiche potranno esercitare una influenza moderatrice – ha affermato Siam Barghuti – al contrario se sarà composto solo da rappresentanti del movimento islamico, allora le cose potrebbero andare in modo molto diverso»”.