Evo Morales è presidente. Il primo indio eletto presidente della repubblica più india dell’America latina si è insediato ieri con una cerimonia ispirata al popolo del sole e si insedierà oggi di fronte a una dozzina di presidenti e a varie decine di rappresentanti di paesi stranieri, e poi davanti al popolo boliviano. Una cerimonia di insediamento lenta e divisa studiatamente in tre, come lento è stato il cammino degli indigeni per arrivare, una volta tanto, al potere (o quantomeno al governo, che non sempre è la stessa cosa). Mai l’insediamento di un presidente della Bolivia aveva attratto tanta attenzione, sia politica, sia popolare, sia giornalistica (coperta da 1200 giornalisti). Attenzione che vuol dire speranza per alcuni e paura per altri.
Dopo la straordinaria vittoria a valanga del 18 dicembre, quando travolse il candidato della minoranza bianca e neo-liberista Tuto Quiroga, e dopo il giro per il mondo pre-insediamento che hanno reso famoso lui e e la sua chompa (il variopinto maglione di alpaca con cui si è presentato ovunque, anche davanti al re di Spagna Juan Carlos o al presidente Chirac a Parigi), ieri Evo ha avviato la sua lunga cerimionia di incoronazione andando a Tiwanako, uno dei luoghi simbolo della storia e della cosmogonia inca. A partire dalle 10, di fronte a 20 mila persone che si erano radunate sui 4 mila metri dell’altipiano, a 70 km da La Paz, Evo è stato vestito dai paramenti dei sacerdoti dell’Inti, il sole, dell’epoca pre-colombiana – l’ unku, un manto ricostruito sulla base di disegni portati in digitale, il chuku, un copricapo a 4 punte simbolo delle 4 regioni della Bolivia, il bastone del comando istoriato con teste di condor -, ha chiesto la protezione delle divinità ancestrali e della Pachamama, la madre terra, per governare con saggezza le 4 regioni boliviane, l’oriente e l’occidente e le 36 etnie del paese. Ne avrà bisogno.
Le cerimonie di oggi a La Paz prevedono, poco dopo l’una nel palazzo del Congresso in stile rinascimentale italiano sulla Plaza Murillo, il passaggio delle insegne – questa volta la più tradizionale fascia verde, gialla e rossa, i colori della bandiera – da parte del presidente uscente Eduardo Rodriguez e poi verso le 5 del pomeriggio il trasferimento del presidente Morales e del suo vice Alvaro Garcia Linera nella Plaza de los Heroes, lungo la centralissima avenida Mariscal Santa Cruz, dove avrà luogo la terza e ultima investitura, quella popolare. Il suo «impegno» di fronte «al popolo boliviano» sarà seguito da schermi giganti e altoparlanti a tutto volume da almeno 200 mila persone. Sono venuti e stanno arrivando non solo dalla Bolivia (20 mila cocaleros solo dalla «sua» Cochabamba), ma da molti altri paesi dell’America latina, specialmente gli indios: da Argentina, Brasile, Cile, Perù, Ecuador, dai lontani Messico e Guatemala. Che avranno un posto d’onore al suo fianco durante la cerimonia. La festa continuerà per le strade con i fuochi d’artificio e le esibizioni di gruppi e artisti boliviani e stranieri (presenti anche i vecchi Inti Illimani).
Alla sera Morales e Garcia Linera offriranno un ricevimento alle autorità straniere. Fra loro ci saranno il brasiliano Lula e l’argentino Kirchner, il venezuelano Chavez e l’ecuadoriano Palacio, il peruviano Toledo (ma anche il candidato militar-nazionalista-indio Ollanta Huamala che rischia di vincere le elezioni di aprile), il colombiano Uribe e il panamegno Torrijos. Non ci sarà. a meno di sorprese dell’ultima ora, l’attesissimo Fidel Castro, sostituito dal vicpresidente cubano Carlos Lage. Ci sarà invece il cileno Ricardo Lagos, una presenza interessante visto che il problema dello sbocco al mare tiene divisi i due paesi da 120 anni (non hanno neanche relazioni diplomatiche). Per gli Stati uniti ci sarà il sottosegretario agli esteri Thomas Shannon, responsabile per l’America latina. Per la Spagna il principe ereditario Filippo.
Poi da lunedì dovrà cominciare a governare. Non sarà facile, viste le attese. Per il momento ha solo detto che come sottosegetario alla politica sulla droga metterà… un cocalero. Una mossa che non piacerà a Bush. Ma Evo, parlando venerdì agli indigeni, ha detto di non aspettarsi «problemi» perché se gli americani gli mettono il bastone fra le ruote rischiano di ritrovarsi «un altro Sendero Luminoso e delle altre Farc in Bolivia». Mentre «la sua scommessa è di cambiarla con il voto e non con le pallottole».
Non si sa ancora con precisione come sarà composto il suo governo. Ieri si è saputo che le funzioni di primera dama – Evo è single con due figli da due donne diverse – le svolgerà la sorella maggiore Estehr, madre di tre figli, che gestisce un negozio di alimentari a Oruro. Sarà lei oggi a intrattenere le signore dei presidenti stranieri.
Evo è presidente e la Bolivia vive una sorta di evomania: l’appoggio popolare tocca l’80%, un libretto con la sua autobiografia, «Una historia de dignidad» va a ruba, come la sua chompa, che un’azienda ha cominciato a produrre. Anche se in acrilico anziché in alpaca per ragioni di prezzo. Auguri.