Dopo l’Iraq tocca alla Siria?

Le truppe Usa occupano Qaim, alla frontiera siriana Rumsfeld ogni giorno accusa Damasco e Israele soffia sul fuoco.

GERUSALEMME
«Dopo l’Iraq la guerra continua», scriveva ieri sul Jerusalem Post Uri Dan, storica «penna» dell’estrema destra israeliana, perché, a suo avviso, le organizzazioni estremiste arabe non tarderanno a riorganizzarsi per colpire gli Stati Uniti e i loro alleati, anche nel mondo arabo. Dan, non casualmente, dedica metà della sua lunga analisi a quelli che definisce gli «errori» commessi dal «giovane» presidente siriano Bashar Assad rispetto al padre, Hafez Assad, più accorto, più scaltro in politica internazionale. Bashar avrebbe scelto la strada «scellerata» del sostegno all’Iraq, non negli ultimi giorni, ma negli ultimi mesi. Avrebbe fornito armi all’Iraq e raggiunto accordi con i generali di Saddam Hussein. I fatti riferiti da Dan naturalmente vanno registrati con cautela. Ciò che più importa è l’accanimento contro la Siria mostrato da questo giornalista israeliano che vanta ottime relazione con la destra americana più fanatica che oggi controlla la politica Usa. Dopo l’Iraq i cacciabombardieri Usa sulla Siria? L’ipotesi per ora è remota, ma un attacco contro Damasco non può essere escluso. Secondo gli analisti statunitensi intervistati sul «dopo Saddam» dalle tv americane, Damasco è più pericolosa dell’Iran che pure rientra nell’«asse del male» (Iraq, Iran, Corea del Nord) di George Bush. L’Iran, pensano nell’Amministrazione Usa, vive al suo interno un conflitto vero tra conservatori e progressisti con sviluppi anche per gli interessi Usa nel Golfo. Israele preme per un’azione decisa di Washington contro il nemico iraniano ma Bush, almeno per ora, non indirizzerà le truppe Usa verso Teheran per continuare la nuova «guerra preventiva». La Siria, dicono gli americani, è più monolitica, soprattutto è decisa ad opporsi al controllo Usa sulla regione. Israele, il principale alleato di Washington in Medio Oriente, peraltro vedrebbe con favore gli F-16 bombardare Damasco – che non rinuncia alla sovranità sulle Alture del Golan sancita dalle risoluzioni internazionali e che invece rimangono occupate da ben 36 anni da truppe e colonie israeliane – e non manca di far sentire le sue pressioni. Nelle ultime settimane gli Usa hanno ripetutamente messo sotto accusa la Siria. Prima il Segretario alla difesa Donald Rumsfeld e poi il vice presidente Dick Cheney hanno messo in guardia Damasco fino ad accusarla di aver offerto protezione ai membri del regime iracheno in fuga da Baghdad. «E’ giunta l’ora di abbattere gli altri maestri del terrore», ha scritto Michael Ledeen, del centro di studi di Washington, American Enterprise Institute, in un articolo-dichiarazione di guerra intitolato «Ora tocca a Siria e a Iran». Ledeen preme per colpire subito Teheran, convinto che la Siria non potrebbe resistere da sola contro quella che definisce la «rivoluzione democratica» che ha già «sconvolto Kabul e Baghdad». Non sembra perciò un caso che le forze armate americane stiano prendendo il controllo di Qaim, cittadina strategicamente importante nell’Iraq occidentale al confine con la Siria. Il generale Victor Renuart del Centcom ha detto che in quella zona combattono ancora unità della Guardia repubblicana speciale, forze paramilitari e soldati dell’esercito regolare. In realtà gli Usa vogliono prendere il controllo di una zona da dove, provenienti dalla Siria, continuano ad entrare volontari dei paesi arabi per combattere le forze d’occupazione. Il prossimo passo americano, quello che tutti si attendono, è la richiesta, perentoria, della chiusura nella capitale siriana degli uffici delle organizzazioni cosiddette «terroristiche» nonché il disarmo in Libano di Hezbollah che tiene sotto pressione la frontiera settentrionale di Israele. Damasco si è fatta più cauta per non fornire pretesti per nuove accuse, ma, allo stesso tempo, ha esortato la comunità internazionale a compiere tutti gli sforzi per porre fine all’occupazione anglo-americana dell’Iraq e mettere gli iracheni in condizione di scegliere il loro futuro politico. «La Siria – ha detto un portavoce ufficiale – ribadisce il proprio impegno più totale per garantire l’unità e l’integrità territoriale dell’Iraq». Incerta la posizione di Londra. Ieri il ministro degli esteri Straw ha auspicato che Siria e Iran «contribuiscano a costruire un futuro migliore per l’Iraq» cercando di allentare la tensione. Ma il vero interrogativo è quello che ha posto Johann Hari sul pagine dell’Independent : cosa farà Blair se i falchi della destra Usa punteranno con decisione l’indice contro Damasco?