NEW YORK
QUELLO che sta accadendo in Afghanistan è solo propaganda. I veri obiettivi della guerra ormai sono altrove, in Iraq e Asia centrale, ma gli americani non possono ritirarsi da un momento all’altro, con Osama bin Laden e il mullah Omar ancora scomparsi». Basta una domanda qualsiasi, per mettere in moto Noam Chomsky, dopo l´intervista alla stampa in cui l´ex re Zahir ha definito «inutile» la guerra in Afghanistan. Di mestiere lui fa il linguista al MIT di Boston, ma incarna l’antiamericanismo americano dai tempi del Vietnam, e persino il Council on Foreign Relations si è rassegnato a riconoscerlo come la coscienza critica della guerra al terrorismo, nell’ultimo numero della rivista Correspondence. «Prima di cominciare – ci interrompe – dobbiamo chiarire una questione semantica: non è corretto parlare di guerra al terrorismo, perché se fosse tale, gli europei e gli americani dovrebbero attaccare se stessi. Nessuno, infatti, ha commesso più atrocità di loro nella storia mondiale».
Hanno scritto che l’11 settembre, secondo lei, “è stata la prima controffensiva nella guerra contro il colonialismo”. La pensa davvero così?
«Non proprio, anche se il colonialismo è un fattore. Mettiamola così: gli occidentali erano abituati ad attaccare, e l’11 settembre sono stati attaccati. Ognuno è libero di interpretare questo fatto come vuole, ma è un fatto».
Allora la guerra in Afghanistan cos’è?
«All’inizio era il tentativo di reagire, andando ad uccidere i presunti colpevoli. Poi, verso la fine di ottobre, è diventata una missione per rovesciare i taleban, che serviva a costruire un governo amico nella regione e dare una giustificazione umanitaria all’intervento».
E ora che i taleban sono caduti, perché continuano i bombardamenti?
«Perché non possiamo andarcene di punto in bianco, e ci conviene tenere alta la tensione. La nostra intelligence è scadente: a Gardez pensano che siamo lo strumento dei signori della guerra locali, e invece di attaccare Al Qaeda e i taleban, risolviamo alcune rivalità regionali. In realtà Stati Uniti e Russia avrebbero il dovere di ricostruire il paese, visto che la guerra degli ultimi venti anni è stata fomentata proprio da loro. Forse lo faranno, ma comunque questo è un interesse marginale per loro».
L’ex re dice che la guerra è inutile, e penalizza gli afghani
«Lo sosteneva anche Abdul Haq, il favorito degli americani prima della sua uccisione e prima di Karzai, e lo avevano ripetuto oltre cento leader riuniti a Peshawar prima della guerra. Ma questa linea del rovesciamento interno senza bombardamenti non coincideva con quella degli Usa».
Quali sono i veri interessi di Washington?
«Stabilire la propria presenza nell’Asia centrale, come sta facendo con le basi in Uzbekistan e i consiglieri in Georgia. Questo serve ad ottenere il controllo di risorse naturali preziose. Nella stessa ottica rientra l’intervento in Iraq, altrimenti Francia e Russia si impossessano di quel paese, che è il secondo serbatoio mondiale di petrolio».
Quindi l’attacco a Baghdad è scontato?
«L’Onu sta facendo pressioni per il ritorno degli ispettori sul disarmo, però è difficile che questa strategia vada lontano. Saddam costruiva armi di distruzioni di massa anche quando era nostro alleato, ma ciò non ci ha disturbato fino a quando ha cominciato a disobbedire ai nostri ordini».
Secondo lei gli Stati Uniti non avrebbero dovuto reagire dopo l’11 settembre?
«Sì, ma c’erano vie diverse. Davanti ad un crimine internazionale bisogna ricorrere alle istituzioni internazionali, come il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, presentando le prove. Così si ottiene l’autorizzazione ad usare la forza, per prendere i responsabili e portarli davanti alla giustizia. Ma raccogliere le prove era difficile, perché nessuno crede davvero che gli attentati siano stati organizzati nelle caverne dell’Afghanistan, e Washington non ha alcun interesse a processare bin Laden. Poi per seguire questa via serviva troppo tempo, e quindi abbiamo fatto quello che non accetteremmo mai dal Nicaragua, da Panama o dal Vietnam».
Ma Al Qaeda oggi non è meno pericolosa?
«Non credo. I manuali la descrivono come una leaderless resistance, resistenza senza leader. Opera con cellule piccole e autonome. Forse bin Laden non è neppure il vero capo, e comunque Al Qaeda può colpire anche senza lui».