Dopo il 3 dicembre…

Dopo la grande manifestazione nazionale del 2004, la partecipazione di
trentamila lavoratori e lavoratrici migranti al corteo che lo scorso 3
dicembre ha attraversato le strade di Roma è stata la conferma della
presenza del movimento dei migranti nel segno del protagonismo politico
e di una capacità di organizzazione autonomi. L?organizzazione autonoma
dei lavoratori e delle lavoratrici migranti espressa dai collettivi, dai
coordinamenti, dalle reti e dai tavoli provenienti da ogni parte
d?Italia è ciò che riteniamo necessario valorizzare ulteriormente, da
questo momento in avanti, soprattutto alla luce della specificità della
fase politica nella quale ci troviamo.
Nella prospettiva di un cambio di governo la gestione delle politiche
migratorie è già terreno di scontro e per qualcuno soprattutto di
contrattazione politica. Il documento programmatico dell?Unione, ?Per
un?immigrazione governata?, sembra recepire alcune istanze che le forze
antirazziste dei migranti ha portato in piazza a livello territoriale e
nazionale in questi anni, ma fa dell?opposizione alla legge Bossi-Fini
uno strumento di polemica elettorale, senza intaccarne le logiche di
fondo. La prospettiva di ?abolizione del contratto di soggiorno? viene
ricondotta a un miglioramento delle prestazioni amministrative, mentre
le ?politiche degli ingressi e allontanamento dal territorio? mostrano
chiaramente l?intenzione di ?ottimizzare? gli effetti della legge
Bossi-Fini. Un?ottimizzazione che passa per la flessibilizzazione dei
flussi di ingresso per lavoro in relazione alle reali esigenze del
mercato, o per la previsione di canali d?ingresso ?specifici? per
categorie come quelle dei collaboratori domestici e di cura, rivelatisi
negli ultimi anni colonna portante di un processo di destrutturazione
del welfare fondato sullo sfruttamento salariale dei lavoratori, ma
soprattutto delle lavoratrici migranti. I migranti potranno ?godere? di
un permesso annuale per ricerca di lavoro, ?da rilasciare in seguito a
prestazione di precise garanzie economiche?: il segno ancora una volta
di una immutata logica che guarda a questi uomini e donne come a mera
forza lavoro, così come di una concezione vagamente surreale delle
condizioni economiche che dovrebbe garantire chi è privo di salario. In
questa sapiente combinazione di Bossi-Fini e Turco-Napolitano, la figura
dello sponsor è riproposta come confine ulteriore all?ingresso regolare,
ovvero come filtro all?ingresso capace di gerarchizzare ulteriormente le
posizioni dei migranti in questo paese. Dati questi presupposti, non
stupisce che i centri di permanenza temporanea, dei quali da anni il
movimento dei migranti e antirazzista chiede la chiusura, senza
disponibilità ad alcun compromesso o ipotesi di miglioramento, sono
destinati a un ?superamento? che nel migliore dei casi servirà a evitare
scandali come quelli suscitati dal Cpt di Lampedusa. La garanzia dei
diritti umani sarà il pretesto più efficace per perpetuare quella
gestione della forza lavoro-migrante attraverso il binomio inscindibile
tra permesso di soggiorno/contratto di lavoro e centri di detenzione.
La necessità riconosciuta di uniformare la legislazione a livello
europeo ? ovvero di un ulteriore irrigidimento di quella logica che
nelle politiche migratorie italiane trova il proprio paradigma ? è
associata all?esigenza di forme di ?partenariato con i paesi di origine?
e di transito che abbiamo già visto concretarsi nell?esternalizzazione
dei centri di detenzione e nella militarizzazione delle frontiere, e che
trova il proprio momento più visibile e drammatico nelle vicende di
Ceuta e Melilla. La favola della cooperazione nasconde la volontà di
ridurre a merce di scambio nelle politiche bilaterali le vite di
migliaia di uomini e donne che, contro ogni politica dei confini,
continuano ad attraversarli quotidianamente, mentre la parola ?sviluppo?
dà nome a quei processi di esternalizzazione che sempre più il capitale
italiano ed europeo utilizza contro i movimenti del lavoro. Leggi
regionali sull?immigrazione come quella dell?Emilia Romagna, pensate e
finanziate da governi locali di centro-sinistra, o normative come la
Bolkenstein, si prodigano già da tempo per produrre le condizioni
ottimali per migrazioni di capitale che corrispondono allo sfruttamento,
direttamente nei paesi di provenienza, di un lavoro migrante che non
migra.
Le buone intenzioni proclamate dal documento in merito alle politiche di
integrazione andranno verificate nella pratica. Sappiamo che potrebbero
costituire un parziale miglioramento nella quotidianità della vita dei
migranti in questo paese, ma crediamo anche che fino a quando non sarà
sciolto il nodo tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno ? che
porta come inevitabile corollario il sistema delle quote e la detenzione
amministrativa ? queste ipotesi di ?miglioramento? saranno strumentali a
un?ulteriore gerarchizzazione e frammentazione delle figure della
cittadinanza e del lavoro. È piuttosto l?idea stessa di integrazione che
siamo chiamati a criticare e rifiutare, dal momento che essa presuppone
l?esistenza di una società di arrivo omogenea e normativa, riconoscendo
ai migranti una soggettività che al massimo si costruisce intorno
all?identità religiosa e culturale. Nell?ottica del multiculturalismo,
questa viene istituzionalizzata, cristallizzando strutture identitarie e
comunitarie funzionali alla produzione di fratture e gerarchie tra i
lavoratori e le lavoratrici migranti e tra questi e i ?lavoratori
italiani?, oltre che alle ideologie legittimanti la guerra in atto.
L?organizzazione autonoma del movimento dei lavoratori e delle
lavoratrici migranti si è rivelata una modalità di comunicazione
politica capace di guardare oltre la semplice prospettiva di un
possibile cambio di governo e che si pone su di un terreno diverso. Se
una parte almeno del movimento antiliberista ha riconosciuto la
centralità politica del lavoro migrante, oggi più che mai è necessario
individuare gli spazi della sua praticabilità e, rispetto a questi
ultimi, non è indifferente la declinazione che il discorso politico
assume. Se i processi di precarizzazione in atto hanno nelle politiche
migratorie un?arma fondamentale contro il lavoro vivo, è necessario
rifiutare quelle logiche uniformanti che hanno caratterizzato una serie
di posizioni del movimento e che sono lo spauracchio attraverso il quale
i sindacati confederali hanno mascherato la scelta politica di negare il
carattere operaio della lotta alla legge Bossi-Fini. Valorizzare la
peculiarità delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici migranti come
un patrimonio per l?insieme del movimento di classe, assumerne
concretamente la dimensione complessiva e transnazionale è piuttosto un
elemento di forza, che impone la necessità di una presa di posizione
politica. A questa esigenza corrisponde la parola d?ordine dello
sciopero del lavoro migrante come sciopero di tutto il lavoro contro la
legge Bossi-Fini. Ma in questa prospettiva ciò che è necessario
ripensare, in primo luogo, sono le modalità di azione politica dei
migranti e la loro capacità di coordinarsi a livello nazionale ed
europeo.
La capacità di organizzazione autonoma del movimento dei migranti può
diventare la leva attraverso la quale ridefinire il rapporto tra
movimento e sindacato. Le esperienze di sindacalismo di base, tuttavia,
che pure stanno svolgendo un ruolo importante in alcuni territori e
hanno contribuito alla riuscita della manifestazione nazionale, non ne
assumono, né possono farlo, il portato complessivo e non possono essere
considerate in alcun modo esaustive di tale prospettiva. La
sottoscrizione dell?appello delle reti migranti da parte di alcune
camere del lavoro territoriali, così come l?adesione di diverse RSU,
delegati, lavoratori e lavoratrici, è un segnale non irrilevante della
possibilità di attraversare le fratture ? sempre più indotte dai
processi di impoverimento in atto ? tra gli apparati confederali e i
reali movimenti del lavoro vivo che attraversano i sindacati stessi.
L?assunzione di questa prospettiva non è certamente agevolata dalla
tensione dei sindacati confederali ? con la dovuta, ma parziale,
eccezione della Fiom ? a ridimensionare la conflittualità del lavoro
nell?orizzonte di un cambio di governo, ma tale prospettiva può essere
assunta come terreno comune di iniziativa da quelle realtà che nei
diversi territori hanno saputo costruire la loro forza politica proprio
attraverso il protagonismo e la presa di parola diretta dei lavoratori e
delle lavoratrici migranti.
La forza di tale protagonismo impone di superare le pratiche meramente
solidaristiche che hanno caratterizzato il movimento antirazzista stesso
nel corso degli anni ?90. A Roma, il 3 dicembre, la partecipazione di
partiti e sindacati c?è stata e ha costituito un significativo sostegno
alla riuscita della manifestazione stessa. Essa ha comunque evidenziato
la difficoltà, riscontrabile peraltro anche nelle strutture di
movimento, di coinvolgere gli italiani in un percorso di lotta del quale
è sempre più evidente il carattere strategico. Se è vero che le
trasformazioni che investono il lavoro e la cittadinanza nel suo
complesso fanno leva sulla gestione politica dei movimenti migratori, è
altrettanto vero che la lotta dei migranti impone oltre alla dovuta
solidarietà una presa di posizione politica forte. Una presa di
posizione che deve essere in grado di coinvolgere sempre di più tutti i
lavoratori e le lavoratrici di questo paese, e che deve essere prodotta
attraverso la costruzione di canali di comunicazione politica tra
lavoratori a prescindere dalla loro provenienza.
Il percorso che ha portato al 3 dicembre per noi rimane aperto.