Dopo il 20 ottobre…è 21 ottobre

E’ passata anche questa. Ci riferiamo all’ultima scadenza del tornante politico che vedeva in sequenza la consultazione-truffa tra i lavoratori sull’accordo del 23 luglio (vinta come scontato dai sostenitori dell’accordo), le primarie sulla leadership del Partito Democratico (vinta come scontato da Veltroni) e la manifestazione del 20 ottobre della sinistra di governo (abbondantemente riuscita come prevedibile sul piano dei numeri).

Se invece di leggere questi passaggi separatamente li connettiamo tra loro, il risultato che viene fuori è la definizione dei “recinti consentiti” dentro i quali si vorrebbe confinare l’azione e il conflitto politico e sociale nel nostro paese. Più di qualcuno potrebbe essere tentato di accettarli e farsene una ragione, ma qualcun altro potrebbe invece ritenere di accettare la sfida per tenere aperta una prospettiva diversa e alternativa.

D’Alema anni fa invocava che l’Italia diventasse un “paese normale”. A questa normalità ci stiamo avvicinando settimana dopo settimana anche con il contributo della sinistra così come l’abbiamo conosciuta e per come è emersa dalla dissoluzione del PCI e della sinistra extraparlamentare.

La recintazione prevede infatti un sindacato “unico”perfettamente integrato nella concertazione con Confindustria e governo e garante della tregua sociale; un grande partito centrista e liberale con alcune vocazioni progressiste e un soggetto politico socialdemocratico “di sinistra” (la Cosa Rossa) che conviva con entrambi senza mai provocare rotture ma con eventuali responsabilità di governo del conflitto sociale.

Questo incasellamento potrebbe fare dell’Italia il paese “normale” invocato dai poteri forti e dai sostenitori della Seconda Repubblica. Per questo è nato il Partito Democratico ed a questo intende lavorare riscrivendo i parametri costitutivi del nostro paese.

A occhio la sua tabella di marcia prevede : la liquidazione concordata in modo bipartizan di una Prima Repubblica fondata sul lavoro e nata dalla Resistenza ; una marginalizzazione del lavoro ad una sua dimensione prettamente neocorporativa e ancora più subalterna; una sussidiarietà ripulita di ogni vocazione sociale che assegni priorità al mercato e all’iniziativa privata lasciando qualche briciola per il “welfare dei miserabili”; una politica militare ed internazionale bipartizan adeguata ai tempi della competizione globale e della guerra come fattore delle relazioni internazionali; un sistema politico ed elettorale blindato che recinti tutti gli spazi della rappresentanza.

Di fronte a tale progetto, sarebbe quantomeno necessario rovesciare il tavolo e imporre nuove regole del gioco. Ma quanta consapevolezza di tutto ciò c’era nell’appello di convocazione e nella manifestazione del 20 ottobre organizzata da Manifesto, Liberazione e Carta per conto della futura Cosa Rossa? Tanta e poca allo stesso tempo. I gruppi dirigenti dei partiti e dei giornali di sinistra che puntano alla costituzione entro l’anno di un soggetto politico (La Sinistra, senza aggettivi) ne sono pienamente consapevoli, le tantissime compagne e compagni che sono scesi in piazza lo sono meno.

Purtroppo – e dobbiamo ammetterlo – ne appaiono poco consapevoli anche molti dei compagni e dei movimenti che pure – e giustamente a nostro avviso – non hanno aderito alla manifestazione del 20 ottobre.

E’ ancora troppo debole infatti la consapevolezza politica, culturale e se volete psicologica del carattere indipendente di un progetto politico alternativo che rompa non solo i recinti che stanno costruendo di comune accordo governo e sinistra di governo, ma che faccia della rottura con la “politica”, il suo ceto dominante, i suoi riti e le sue scadenze il suo atto fondativo. Non si è riusciti a fare di questo subito dopo la manifestaizone del 9 giugno scorso e in parte se ne vedono le conseguenze.

L’alterità di un progetto politico alternativo per i movimenti sociali e le realtà dell’antagonismo di classe deve imporsi di non giocare più sullo stesso terreno di sempre ed in cui il ceto politico dominante (democratico o “radicale”di sinistra) si muove a proprio agio e con ampia disponibilità di mezzi e suggestioni. Su questo terreno, come direbbero a Roma “non c’è trippa per gatti”.

Sarebbe sbagliato pensare che solo organizzando altre manifestazioni si possa erodere margini di controllo politico e incidere nel conformismo dominante anche a sinistra.

C’è bisogno innanzitutto di una rottura culturale – come furono in parte quelle del ’68 e del ’77 – e di una sedimentazione sociale che parta dalle contraddizioni reali e – oggi più che mai – di classe nella società. Questo è l’unico vero elemento di ingovernabilità che anche in un paese normale e normalizzato non si può nascondere e manipolare continuamente.

In secondo luogo diventa urgente mettere in campo una capacità unitaria di elaborazione ed azione convergente delle forze sociali, politiche, sindacali, culturali che in questi mesi di “tregua di governo” non hanno esitato a dare battaglia contro la guerra, la precarietà del lavoro, la casa, i beni comuni senza fare sconti a nessuno, né al governo amico né agli amici di governo.

Intorno a questo si sta discutendo da settimane in varie sedi e in varie realtà in previsione delle prossime mobilitazioni d’autunno che sono già in agenda, ma un’agenda, da sola, potrebbe non bastare. Ancora una sforzo care compagne e compagni, facciamo in modo che passato il 20 ottobre ci sia il 21 ottobre….e tutto il resto dell’autunno.