Che fare di un dittatore sconfitto? Perché gli americani fecero di tutto per «salvare» Benito Mussolini? I quattro cablogrammi inviati dai dirigenti dell’Oss, progenitore della Cia, ai loro «commando» operanti nel Nord Italia, scoperti dal ricercatore Mario J. Cereghino negli Archivi Nazionali statunitensi, testimoniano del vano tentativo di sottrarre ai partigiani il capo del fascismo ed impedire la sua esecuzione, avvenuta a Giulino di Mezzegra il 28 aprile 1945. Il progetto era: trasferire il prigioniero a Firenze, o più probabilmente a Caserta, dove avevano sede il comando alleato e soprattutto l’Oss (Office of strategic services) l’organismo di intelligence progenitore della Cia. Lì Mussolini sarebbe stato «interrogato», e gli Alleati pretendevano mano libera sulla sua sorte. Le intimazioni dei servizi segreti statunitensi, respinte dal Comitato di liberazione per l’alta Italia, di cui facevano parte tra gli altri il generale Raffaele Cadorna, comandante in capo del Corpo Volontari della libertà, Luigi Longo, Sandro Pertini, Leo Valiani, miravano con ogni probabilità più che a uno scopo «umanitario», a un obiettivo eminentemente politico: sottrarre la gestione del dopo-Liberazione agli antifascisti. Lo si ricava da un ancor più voluminoso dossier di un centinaio di pagine rinvenuto dallo stesso Cereghino nel faldone di documenti custodito negli Archivi Nazionali statunitensi, desecretato dalla presidenza Clinton, che contiene l’archivio personale di Allen Dulles, la superspia che avrebbe negli anni Cinquanta guidato la Cia, uno dei protagonisti della Guerra fredda.
È Dulles, denominato in questi documenti con la sigla «110», a incaricare un suo uomo di fiducia, l’agente «441», di svolgere immediatamente nei luoghi della cattura e dell’esecuzione di Mussolini un’accurata inchiesta per appurare le circostanze che hanno portato gli antifascisti italiani a disobbedire all’ordine degli alleati. E «441» il 30 maggio spedisce a mister «110» un dettagliato rapporto segreto, che oggi può sgombrare tante nebbie dietrologiche che si sono addensate negli anni successivi sulla vicenda. L’agente «441» ha fatto un buon lavoro: era a Como, a Dongo e a Giulino di Mezzegra già l’indomani – il 29 aprile – mentre i corpi di Mussolini e dei gerarchi erano esposti a Milano a piazzale Loreto; ha parlato con i testimoni oculari, in origine cinque persone, ma uno – scrive – è rimasto vittima di un fatale «incidente» qualche giorno dopo, un altro è andato fuori di testa per lo stress, e non si sa che fine abbia fatto; soprattutto s’è fatto consegnare pochi giorni dopo gli eventi una memoria scritta dall’uomo che sparò gli ultimi due colpi a Mussolini; e s’è fatto spiegare dal generale Cadorna chi diede materialmente l’ordine di eliminare il capo del fascismo.
Cadorna, pochi giorni dopo i fatti, con lui è «molto franco», e gli spiega pur senza molti dettagli, che «il colonnello Valerio» (che poi sarebbe stato identificato nel comunista Walter Audisio, ndr) eseguì un «ordine formale» impartito dal Comitato di liberazione nazionale. «Alla mia domanda se quest’ordine fosse il risultato di una deliberazione del Clnai, (…) rispose che l’ordine gli fu ufficialmente impartito da un membro del Comitato che agiva per conto dell’intero Comitato». Risulta dunque confermato in diretta il succo della ricostruzione che negli anni Sessanta sarebbe stata rivelata dall’Unità, che per prima fece il nome del deputato comunista che si celava dietro lo pseudonimo del colonnello Valerio e che attribuì l’esecuzione a un «atto di guerra» deciso dal Comitato di Liberazione. Non c’è traccia nella ricostruzione di «441», che è stato mandato lì proprio per accertare chi ha ucciso e perché Mussolini, di altre ipotesi successivamente battute da una ricca memorialistica: per esempio la «pista inglese» che sostiene che l’esecuzione fosse una messinscena e attribuì l’esecuzione a un fantomatico agente britannico che nell’uccidere Mussolini avrebbe fatto sparire il compromettente carteggio del duce del fascismo con il premier inglese Winston Churchill, che avrebbe dimostrato l’esistenza durante la guerra di un canale di trattativa segreta in funzione preventiva antisovietica ma anche antiamericana. Se gli inglesi avessero giocato sporco e preso l’iniziativa di eliminare Mussolini è davvero probabile che l’agente «441» (riconoscibile in Donald Jones, abilissimo braccio destro di Dulles a Berna) se ne sarebbe accorto.
In queste carte c’è una vivida ricostruzione degli avvenimenti di Dongo. Con qualche particolare inedito sulla cattura, fortuita di Mussolini e di Claretta Petacci: quando viene bloccata, l’autocolonna tedesca che ospitava assieme a loro una decina di gerarchi ed ex ministri della Repubblica di Salò con i loro familiari, non è ritenuta dapprima un obiettivo militare importante. I partigiani trattano con gli ufficiali tedeschi esclusivamente la consegna dei gerarchi italiani che sono stati individuati, chi indossa la divisa tedesca può procedere oltre. Ma la soffiata di un «poliziotto motociclista» fascista che è incappato poco prima in un posto di blocco parla di un «big man», un grand’uomo, presente nell’autocolonna. Essa sta per avere via libera a Pianello, qualche chilometro prima di Dongo, quando accade un «curioso incidente». Per controllare meglio, in extremis uno dei partigiani «salì al secondo piano di una delle case prospicienti la strada» nella quale gli automezzi erano ancora parcheggiati, per osservare i camion dall’alto. «In un angolo di uno dei rimorchi attaccati a un camion egli scorse un uomo seduto che fumava. Quest’uomo aveva una divisa tedesca e un elmetto. Un soldato tedesco appoggiato al camion impediva in un primo momento la visione delle sue sembianze. Ma a un certo momento l’uomo girò la faccia verso la luce della sigaretta del soldato tedesco. Il partigiano riconobbe Mussolini». E dopo aver represso l’istinto di porre mano alla pistola il «patriota» dà l’allarme: poco più tardi al posto di blocco successivo, messo sull’avviso, Mussolini sarà così catturato. Allen Dulles che a Berna attende l’arrivo di Mussolini in Svizzera prende nota, registra lo smacco. Un suo uomo, James Jesus Angleton, non più di dieci giorni dopo si recherà a Milano per «porre in salvo» un altro importante gerarca, il principe Junio Valerio Borghese, comandante della famigerata Decima Mas. Stavolta per sottrarlo ai partigiani viene fatto travestire con la divisa di un militare americano. Liberato con un processo farsa, sarà usato fino agli anni Settanta per sabotaggi e golpe antidemocratici.
(2- fine)