Sbarrare la strada alle derive plebiscitarie, smascherare il bluff del maggioritario e restituire pieno valore alla rappresentanza e alla centralità del parlamento. Il giurista Domenico Gallo guarda in direzione opposta alla proposta Amato che irrompe nel dibattito sulla riforma elettorale.
Il ministro dell’Interno ha definito insufficiente la bozza Chiti, vorrebbe un ritorno ai collegi uninominali e soprattutto passi più coraggiosi verso un premierato forte. Cosa la preoccupa di più?
Il sentiero tracciato da Amato porterebbe ad un rafforzamento delle prerogative del capo del governo che prefigura un modello bonapartista. Ma mi lascia perplessa anche la semplice indicazione del candidato premier sulla scheda, con la quale si compie uno stravolgimento della funzione di rappresentanza e si introduce una riforma surrettizia della Costituzione: oggi la scelta del primo ministro spetta al presidente della Repubblica.
L’obiettivo è consentire ai cittadini di scegliere direttamente chi li governa. Come risponde all’obiezione che il sistema elettorale deve essere in grado di produrre maggioranze stabili?
Che non bisogna cedere a questo ricatto. Le elezioni servono ad eleggere un parlamento che è deputato a fare le leggi. Occorre adottare soluzioni più aderenti al dettato costituzionale, modulato sulla centralità del parlamento, come luogo di espressione della sovranità popolare e della rappresentanza. Non il luogo dove si manipola la volontà popolare per cercare di instaurare un governo duraturo.
Parliamo dell’ipotesi di riforma. Le bozze Chiti e Calderoli, pur con le debite differenze, sono state giudicate “sovrapponibili”. Cosa non la convince del cosiddetto regionellum ?
La cosa più preoccupante è la continua pretesa di collegare la scelta del governo all’elezione dei rappresentanti, rendere estremamente rigido il bipolarismo con grave detrimento della partecipazione politica e del ruolo del parlamento. ll proporzionale corretto delineato da Chiti assomiglia molto al maggioritario, perché nel momento in cui si moltiplicano le circoscrizioni e diminuisce il numero dei parlamentari si hanno collegi che eleggono due o tre deputati: si introduce una sorta di maggioritario di fatto, perchè i partiti minori sono tagliati fuori o sono costretti ad accorparsi, ad essere assimilati. E poi il premio di maggioranza acquista un peso enorme, stravolge il principio della rappresentatività.
Lei avrebbe optato per il sistema tedesco?
Quello tedesco è un modello sostanzialmente proporzionale, che non impone un bipolarismo forzato e affida la governabilità nelle mani del parlamento. Anche la sfiducia costruttiva è un meccanismo utile che non snatura la forma di governo parlamentare.
Negli ultimi anni sono falliti ben due referendum per eliminare la quota proporzionale. Eppure, dietro le quinte, resiste una sorta di “fondamentalismo maggioritario”…
Gli italiani si sono subito disamorati del sistema maggioritario perché si sono resi conto che era una truffa, un dispensatore di miracoli che non si sono verificati. Ha prodotto disfunzionalità, ha tradito i suoi stessi presupposti: i partiti si sono moltiplicati e i “grandi” sono dovuti comunque scendere a patto con i “piccoli”.
Forse per questo alcuni esponenti del governo pensano a misure più drastiche contro la frammentazione dei partiti. C’è un parallelo tra la fuga in avanti di Amato e la minaccia del referendum?
Sono entrambi tentativi di dare vita ad una legge elettorale che metta ai margini le forze che non si assimilino ai due partiti principali, nella fattispecie Forza Italia e il futuro Partito democratico. Il Sì al referendum renderebbe ancora più rigido il bipolarismo, traghettando il sistema verso un vero e proprio bipartitismo, con effetti devastanti per la qualità della democrazia del nostro paese.
Quali?
Il partito di maggioranza relativa arriverebbe a controllare il 55% dei seggi: una sorta di dittatura del primo partito, peggio della legge Acerbo fatta dal regime fascista.