Il Prc vive una crisi profonda che chiama tutto il partito a un dibattito straordinario in vista del prossimo congresso, il cui percorso si avvia nel prossimo autunno.
La crisi si è manifestata nel risultato assai negativo delle elezioni amministrative del 27-28 maggio, che hanno mostrato il profondo distacco che larghi settori popolari vivono nei confronti di questo governo e che investe pesantemente anche il nostro partito.
La giornata del 9 giugno ha ribadito in altra forma la crisi di autorità politica del partito e del suo gruppo dirigente, portando la maggioranza a scegliere di separare il partito dalla grande manifestazione di protesta contro la visita di Bush.
Lo scontro in atto sulle pensioni rappresenta, per comune ammissione, un nuovo e probabilmente decisivo banco di prova di una linea che nel giro di poco più di un anno ha già viste drammaticamente smentite le sue premesse fondamentali.
Il partito si è trovato di fatto accodato a una posizione del gruppo dirigente della Cgil (peraltro mai discussa né votata nei luoghi di lavoro) che tende, sia pure fra mille contraddizioni, a giungere comunque a un accordo col governo.
I contorni di questo accordo sono già discernibili nelle grandi linee: innalzamento, sia pure più graduale, dell’età pensionabile, attraverso gli “scalini” e il meccanismo delle quote; una spada di Damocle sui rendimenti futuri; nella migliore delle ipotesi qualche sacca di lavori usuranti che verranno esclusi da questi peggioramenti.
Un accordo dunque che non inverte la rotta rispetto a vent’anni di attacchi ai diritti sociali, che introduce ulteriori elementi di rottura della solidarietà fra generazioni e categorie, e che verrà come tale percepito dalla larga maggioranza dei lavoratori. Su queste basi non può che aumentare il distacco, la delusione e la rabbia verso questo governo, a maggior ragione se questi peggioramenti vengono presentati come conquiste positive capaci di aprire un nuovo corso rispetto alla controriforma Maroni. Ancora peggio se l’accordo fosse accompagnato da una conferma di fatto della Legge 30 e da un inizio di attacco al modello contrattuale.
Per questi motivi il partito deve attrezzarsi non solo a produrre il massimo contrasto nella trattativa parlamentare, ma anche a sviluppare una campagna di massa per imporre una vera consultazione nei luoghi di lavoro, consultazione nella quale, a fronte di un accordo che dovesse seguire le linee qui accennate, non potremo limitarci a un salomonico appello a rispettare il voto dei lavoratori, ma dovremo invece impegnarci a fondo in favore di una bocciatura e delle conseguenti, necessarie inziative di mobilitazione contro lo scalone, sull’esempio delle lotte che nel 1992, 1993, 1995 contrastarono le controriforme concertative.
Questa vertenza ha mostrato una volta di più la distanza da forze quali Sinistra democratica e il Pdci, le quali hanno chiaramente manifestato la volontà di proteggere Epifani da ogni possibile critica da sinistra. Non si tratta di un fatto casuale: Sinistra democratica manifesta ogni giorno con più chiarezza la propria vocazione governista, basata su una prospettiva di alleanza strategica col Partito democratico, come più volte ribadito da Fabio Mussi.
Se il Prc si vincolasse a questa strategia negherebbe sia le ragioni dei lavoratori, sia la propria autonomia politica e organizzativa, poiché è del tutto evidente come il Partito democratico, anche nella versione di Veltroni, tende a eliminare o a emarginare qualsiasi forza indipendente alla propria sinistra.
Non a caso la crisi strisciante del governo si produce oggi anche e soprattutto per lo sfaldamento del suo fianco destro: le spinte centriste di cui Rutelli è stato solo l’interprete più estremo, tendono a superare la “paralisi” del governo escludendone il nostro partito ed eventualmente altre forze di sinistra, a vantaggio di nuovi assetti del centrosinistra o di altre geometrie che incontrano l’incoraggiamento di Confindustria, primo referente di ogni dibattito nel nascente Pd. Su queste basi l’apprezzamento espresso da più parti nel nostro partito (a partire dal Presidente della Camera) verso la candidatura Veltroni appaiono del tutto incomprensibili, se si considera che giungono immediatamente dopo analoghi, entusiastici elogi di Montezemolo.
Rompere con la partecipazione a questo governo è necessario non solo per la sua politica antipopolare e la conseguente delusione di massa, non solo per impedire che il Prc venga risucchiato in una sinistra di governo subordinata al Pd, ma anche per contrastare il bipolarismo e l’alternanza tra due poli che sempre più appaiono strettamente aderenti alle politiche dettate dalla Confindustria, dal Vaticano, dall’Unione Europea e dalle istituzioni finanziarie internazionali. Si aggiunga che l’attuale scenario favorisce la ripresa di posizioni di destra e di estrema destra capaci di capitalizzare fra settori popolari l’assenza di qualsiasi opposizione a sinistra in un contesto di continua pressione sulle condizioni di vita di milioni di persone.
L’alternativa reale non è tra rompere col governo e continuare la “sfida” (che peraltro finora ci vede sconfitti) con il Partito democratico all’interno del governo stesso, ma tra scegliere noi, nei modi e nei tempi necessari, di avviare una svolta e una battaglia di opposizione, oppure regalare alle forze centriste e confindustriali nostre avversarie la scelta del terreno e del momento in cui sferrare l’offensiva finale contro il nostro partito, offensiva che in presenza di un nostro continuo logoramento ci vedrebbe in enorme difficoltà.
Solo su queste basi può essere impostato un serio percorso di confronto con forze come Sinistra democratica e altri.
Dovrebbero essere evidenti le profonde differenze di analisi e di strategia rispetto a forze come Sd, dalla diversa collocazione internazionale, alla prospettiva bipolare e di governo. Questo non impedisce momenti di unità d’azione, ma è precisazione l’azione, ossia la mobilitazione sociale e politica su obiettivi precisi, ad essere assente dall’attuale dibattito, tutto concentrato sulle future aggregazioni elettorali e sulle forme organizzative. La manifestazione del 9 giugno lo ha confermato in modo plateale, considerato che queste forze hanno persino disertato l’appuntamento (peraltro fallimentare) di Piazza del Popolo, a conferma del fatto che inserire forze riformiste all’insegna del minimo comune denominatore non aggiunge forze al supposto fronte comune e disorienta e demotiva quelle del nostro partito.
Questo è stato riconosciuto dalla Segreteria nazionale in una successiva, positiva autocritica, non accompagnata però da alcuna seria riflessione sulle cause di tale errore che vengono di fatto oggi a riproporsi.
La crisi di molte forze comuniste nel mondo, ultimo esempio il Partito comunista francese, ci dice che parlare di rischio di scomparsa o di liquidazione delle ragioni di Rifondazione comunista non significa additare complotti, ma parlare di un processo che si manifesta anche qui. La lotta contro questo pericolo e per la riaffermazione della prospettiva comunista tra settori significativi di lavoratori e di giovani deve quindi tenere conto dell’insieme dei fattori che minacciano il futuro del Prc, che possiamo riassumere così: governismo e istituzionalismo, che allontano il partito dalla sua base di massa; subordinazione al bipolarismo, che ne mina l’autonomia strategica e politica; subalternità alle numerose mode ideologiche “movimentiste” che negano il ruolo centrale della lotta di classe e quindi della classe operaia in qualsiasi reale progetto di trasformazione sociale e, di conseguenza, negano la necessità di ogni forma di salda organizzazione dei lavoratori stessi.
L’esperienza di questi anni ha mostrato come al venire meno di uno di questi elementi fondamentali corrisponde, prima o poi, un generale indebolimento politico e organizzativo del partito, che lo rende incapace di sviluppare il conflitto e lo piega alle logiche imposte dall’avversario. Così, per esempio, il vasto processo di “revisione” ideologica che ha seguito la rottura del 1998, indebolendo all’estremo ogni riferimento al marxismo e alle concezioni di classe, è stato di fatto il preludio all’attuale subordinazione politica al governo di centrosinistra.
Non si tratta quindi di firmare certificati di morte presunta del Prc, ma di fare appello alle forze migliori del partito, a quei settori operai e giovanili la cui adesione al partito è la più militante e cosciente, ai tanti che sono stati ridotti alla condizione di spettatori passivi, affinché intervengano in prima persona ad impedire la sconfitta di un partito che da 15 anni è stato soggetto centrale di ogni conflitto sociale, a prescindere dai suoi limiti ed errori politici. L’idea di andare “oltre Rifondazione” non è accettabile neppure se tenta di darsi una veste di sinistra, e rappresenta un vicolo cieco come ha già dimostrato l’esito fallimentare di ben tre scissioni scaturite dalla ex minoranza di Ferrando. Né alla deriva di un partito può essere contrapposta la logica dei “forum” e delle “reti” che ripropone un movimentismo incapace di una reale sfida egemonica alle posizioni riformiste e di incidere sui settori decisivi della classe lavoratrice.
Per questo motivo intendiamo proporre nel congresso imminente una posizione che racchiuda l’insieme di questi aspetti di fondo, consapevoli che di per sé anche un ritorno all’opposizione, per quanto indispensabile, non sarebbe indolore per il partito e non garantirebbe, da solo, la possibilità di ricostruire le basi teoriche, politiche, programmatiche e organizzative per fare di Rifondazione comunista un partito in grado di attrarre a sé i settori più combattivi e coscienti nel movimento operaio e fra i giovani. È necessario una vera e propria ricostruzione che faccia del Prc un partito capace di legare il proprio futuro al futuro delle mobilitazioni che inevitabilmente si contrapporranno alla attuale situazione di continuo arretramento nelle condizioni di vita e di lavoro e nelle prospettive di una intera generazione, sacrificata sull’altare della competitività e delle compatibilità di un sistema che sempre più nega un futuro degno alla maggioranza della popolazione.
Claudio Bellotti, Simona Bolelli, Alessandro Giardiello, Mario Iavazzi, Jacopo Renda
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