recente tornata elettorale ha registrato un importante successo del
Partito della Rifondazione Comunista, che ha visto crescere i propri
consensi sia nelle elezioni amministrative che in quelle europee. Tale
risultato – che segna un’inversione di tendenza rispetto alle consultazioni
elettorali degli ultimi anni, e che lascia intravedere la possibilità di
recuperare le dimensioni precedenti la scissione del 1998 – è in larga
misura frutto della straordinaria mobilitazione del Partito, che ancora una
volta ha saputo rispondere con determinazione e generosità alla sfida,
mettendo in campo un impegno superiore alle proprie forze.
Occorre individuare le ragioni politiche di questo successo. Vi hanno
contribuito, ovviamente, fattori diversi e tra questi senza dubbio la
coerenza rispetto alla scelta di internità al movimento di critica alla
globalizzazione neoliberista. Questa continuità spiega tuttavia la capacità
del Partito di conservare il proprio radicamento nei settori dell’elettorato
già conquistati, ma non appare sufficiente a render conto del conseguimento
di nuovi consensi. Per capire le ragioni del successo elettorale di
Rifondazione Comunista occorre dunque guardare anche altrove e precisamente
alle novità politiche che si sono imposte negli ultimi tempi allo sguardo
della massa degli elettori italiani. Si tratta in particolare di due
elementi, che hanno profondamente modificato la rappresentazione del nostro
Partito presso il “popolo della sinistra” italiana.
In primo luogo, il protagonismo di Rifondazione Comunista nel conflitto di
classe (cruciale è stata in questo senso la ritrovata attenzione del Partito
per le lotte sindacali, dalle agitazioni degli autoferrotranvieri alle lotte
dei precari nella scuola, alla grande esperienza degli operai di Melfi) e l’
intensa attività svolta dai nostri compagni nelle file del movimento contro
la guerra, per il ritiro immediato delle truppe italiane dall’Iraq. In
secondo luogo, un ruolo decisivo per il rilancio del Partito è stato
indubbiamente svolto dalla nuova linea unitaria assunta la scorsa estate,
con la decisione di aprire un confronto con le altre forze dell’opposizione
in vista della lotta comune contro il governo delle destre e per la cacciata
del governo Berlusconi. Assumendo tale decisione, il Partito ha dato una
risposta positiva alla domanda cruciale che sale dal Paese, dove sempre più
vasti strati di popolazione auspicano la sconfitta delle destre e,
possibilmente, la fine anticipata della legislatura. Appare evidente che la
scelta del Partito di cercare un’intesa con le altre forze politiche dell’
opposizione ha profondamente mutato la fisionomia di Rifondazione Comunista
agli occhi di quella parte dell’elettorato di sinistra che – pur
condividendo i contenuti politici di tante nostre battaglie – stentava
tuttavia a votarci perché incerta dell’efficacia delle nostre battaglie. Ben
più di qualsiasi passaggio della nostra discussione interna – per sua natura
in grado di coinvolgere settori molto limitati dell’elettorato potenziale
del Prc – la linea unitaria del Partito, che denota una nuova consapevolezza
della pericolosità del governo Berlusconi, ha spostato su Rifondazione
Comunista numerosi voti in uscita dalla sinistra moderata e ha decisamente
contribuito ad un recupero dell’astensionismo di sinistra. Per quanto
concerne il voto europeo, il quadro presenta tuttavia motivi di forte
preoccupazione. Il voto del 12-13 giugno sancisce una vera e propria
bocciatura del processo di costruzione delle istituzioni europee: esso
conferma che l’Europa di Maastricht è percepita come una entità verticistica
e burocratica, lontana dai bisogni dei popoli che la abitano, ispiratrice di
politiche neoliberiste che non offrono alcuna soluzione alla sempre più
precaria condizione sociale di vasti strati di popolazione. L’astensione è
il sintomo più vistoso di tale lontananza: essa raggiunge percentuali
altissime nei paesi dell’Est Europa; ma anche nel cuore del continente (in
Francia, in Germania, in Spagna) la partecipazione al voto tocca minimi
storici. Sull’onda del drastico e diffuso peggioramento delle condizioni di
vita delle masse, il voto va a premiare le opposizioni e punisce senza
distinzioni le forze politiche di governo, che siano di centrosinistra o di
centrodestra, e indipendentemente dal loro collocarsi a favore o contro la
guerra. Tutte fautrici di politiche neoliberiste. Si tratta dunque
eminentemente di un voto di protesta, espressione – in quanto tale – di un
profondo disagio sociale e di orientamenti politici non consolidati. Non a
caso esso si orienta per la prima volta in termini così consistenti anche
verso destra, assumendo di caso in caso connotanti reazionari,
isolazionistici e xenofobi.
Entro tale preoccupante quadro complessivo, va salutato positivamente il
buon risultato conseguito dalla maggior parte delle formazioni del Gruppo
della sinistra unitaria europea (Gue) e dei partiti comunisti interni a tale
raggruppamento. Queste forze raccolgono i frutti della loro coerente
opposizione alla guerra di Bush e della loro determinata azione di contrasto
nei confronti dei devastanti effetti delle politiche neoliberiste. In
particolare tra i partiti comunisti, due dei principali promotori della
Sinistra Europea (Se) – il Prc e la Pds tedesca – avanzano in percentuale e
in termini assoluti; un risultato altrettanto positivo ottengono anche
alcuni dei principali partiti comunisti che non hanno aderito alla Se, come
il Pc greco, il Pc ceco-moravo e il Pc portoghese. A fronte di questo
risultato, va invece osservato che, in controtendenza rispetto a tali
percorsi ascendenti, Izquierda Unida (anch’essa forza promotrice della Se)
non riesce a frenare la propria crisi e precipita al suo minimo storico.
In definitiva – a dispetto di improprie generalizzazioni circa la pretesa
coincidenza tra vittoria elettorale e partecipazione al progetto della
Sinistra europea – tale contesto conferma nel suo insieme che il voto premia
i comunisti sulla base del loro radicamento di classe e della coerenza delle
loro posizioni politiche e non favorisce invece scelte che attenuino il
profilo anti-capitalistico delle singole organizzazioni.
Il confronto con la sinistra moderata e la costruzione della sinistra di
alternativa
Il risultato delle elezioni amministrative ed europee di giugno è positivo
anche per gli sviluppi che apre nella situazione politica italiana. Emerge
con chiarezza la sconfitta del partito di Berlusconi, anche se a fronte
della tenuta di An e di un rafforzamento dell’Udc. Tale contesto consente di
porre in modo non velleitario l’obiettivo della caduta del governo di
centrodestra e della fine anticipata della legislatura, contrastando le
risorgenti ipotesi neo-centriste. A questo fine è necessario un salto di
qualità delle opposizioni per un autunno di lotte e di mobilitazioni
sociali. Occorre perseguire contemporaneamente due obiettivi.
Il primo consiste nell’apertura di un confronto programmatico con tutte le
forze politiche di opposizione, aperto alle forze sociali e ai movimenti,
per l’elaborazione di un programma di governo alternativo alle destre. Un
programma comune di governo delle opposizioni – esito auspicato ma,
considerata la portata strategica delle divergenze, niente affatto
scontato – è ancora più urgente alla luce delle difficoltà del governo, che
sembra rendere sempre più realistica l’eventualità di una anticipazione
delle elezioni politiche nazionali.
Il confronto programmatico tra le opposizioni deve vertere tanto sull’
impianto complessivo dell’eventuale accordo, quanto su alcuni punti
qualificanti, senza i quali l’accordo di governo non può essere fatto:
difesa dei salari e lotta alla precarizzazione; stop alle privatizzazioni e
rilancio del Mezzogiorno; cambiamento in senso proporzionale del sistema
elettorale; no alla guerra (nemmeno sotto ombrello Onu) e ridiscussione
della presenza delle basi Nato e Usa sul territorio italiano; revisione dei
vincoli dell’Europa di Maastricht. Il secondo obiettivo concerne il progetto
della sinistra di alternativa. È necessario superare i ritardi sin qui
accumulatisi e a questo scopo occorre avanzare con urgenza una proposta
capace di unire non solo tutte le forze politiche a sinistra del Listone
riformista (Prc, Pdci, Verdi) ma anche le componenti di sinistra presenti
nei Ds, i movimenti di ispirazione antiliberista e il sindacalismo di classe
(Cgil, Fiom e organizzazioni di base). Tutte queste forze debbono poter
partecipare, senza steccati ideologici e senza che nessuna perda la propria
autonomia, ad un processo unitario vasto e aperto, fondato sul confronto, l’
iniziativa di massa e la costruzione comune di movimenti fondati su
contenuti alternativi alla guerra e al neoliberismo. Vanno invece respinte
tutte quelle proposte (come la costituente di un nuovo soggetto politico o
la confederazione di partiti) che limiterebbero l’autonomia dei soggetti
coinvolti ed escluderebbero significative articolazioni della sinistra di
alternativa, come la sinistra Ds, che ha rilanciato la propria critica
interna dopo il deludente risultato elettorale del Listone.
La costruzione di una sinistra di alternativa così concepita non contraddice
l’autonomia e il rafforzamento di un partito comunista autonomo con base di
massa, che da sempre è e resta l’obiettivo primario della rifondazione.
Infine, per quanto riguarda la scelta degli eletti, ci pare negativo
che la discussione si sia concentrata prevalentemente sul caso D’Erme. C’è
un problema a monte, un limite grave, concernente la democrazia interna, che
si è riproposto nella decisione sulle candidature europee e che ha condotto
a una composizione non pluralistica della rappresentanza del Partito al
Parlamento di Strasburgo. A ciò occorre porre rimedio, affinché la
democrazia non sia solo un importante enunciato di principio, ma un fatto
concreto.
Si impone dunque una riflessione approfondita sul Partito, intesa ad
adeguarne strutture e forme di direzione ai gravosi compiti che lo
fronteggiano. Il successo colto da Rifondazione e le sfide incombenti
raccomandano il massimo di collegialità, unità e partecipazione. Si tratta
di mettere a valore la molteplicità delle sensibilità culturali e politiche
del Partito, considerandole una risorsa per il processo della rifondazione
comunista.
Claudio Grassi
Bianca Bracci Torsi
Guido Cappelloni
Bruno Casati
Gianni Favaro
Rita Ghiglione
Damiano Guagliardi
Gianluigi Pegolo
Fausto Sorini
Giuseppina Tedde