Dirompenti differenze nella società. Dietro i dati il dramma di intere categorie sociali

Sono dati molto importanti quelli diffusi ieri dall’Istat a proposito del reddito delle famiglie italiane. Molto impotanti, è vero, ma non sono
certo una novità, specie per gli addetti ai lavori, per tutti coloro che sono a conoscenza della gravità della situazione di vita di una parte consistente di famiglie e delle condizioni precarie di giovani, lavoratori, pensionati. Ora si spera che non si esaurisca il clamore nel giro di una nottata. Che seguano interventi politici. Già nel 2005, dalla Commissione europea si levò un grido d’allarme sul rischio povertà in
Italia e in Europa. Uno studio era stato eseguito su dati risalenti al 2003 ma elaborati due anni dopo. E in base a quello studio furono formulate raccomandazioni specifiche ai governi dell’Unione.
In sintesi, veniva spiegato che 72 milioni di cittadini, su un totale di 380 tra tutti i 25 paesi membri, erano a rischio di povertà. Una cifra enorme alla quale va aggiunta quella di coloro che già vivono in condizioni di povertà. Il criterio universale adoperato dai ricercatori, a livello europeo, per definire la povertà è dato dalla media delle entrate delle famiglie. E’ considerato povero chi rientri al di sotto del 60% di tale
media. Dunque, se le famiglie medie hanno avuto un reddito annuo di
28mila euro, pari a 2340 euro al mese, è povero chi campa con 1440. Di quei 72 milioni, 11 milioni, ossia il 15% dei potenziali poveri, erano italiani. Una percentuale che sale vertiginosamente se scomputiamo per un attimo i cittadini dei paesi appena accolti nell’Ue.
Oggi, dunque, l’Istat mette in evidenza i redditi medi, ci dice ad esempio che più del 50% delle famiglie sono vicine alla soglia di povertà. Così, però, si fotografa una tendenza, siamo ancora alla ”media del pollo” quella per cui se io mangio due polli e un altro non ne mangia proprio, in media avremo mangiato un pollo a testa. Però, se andiamo dentro questi dati siamo davvero al dramma. Se andiamo a esaminare le situazioni di intere categorie scopriremo che i metalmeccanici dipendenti della Fiat hanno un reddito medio di 1100 euro mensili. Un secondo dato è quello di tutte le lavoratrici del
commercio, alcuni milioni di persone, della stragrande maggioranza delle lavoratrici della grande distribuzione che fa orari di 16 ore, 24 ore settimanali e non arrivano a 700 euro mensili. Anche nell’edilizia e nel settore del legno a fatica se ne raggranellano 1100. Quasi il doppio di tutti i part time dei call centre che sfiorano i 600. Tra le famiglie di anziani la media è di 830 euro mensili ma comprende sia chi è riuscito
ad investire in titoli, sia i pensionati al minimo che sono la metà del totale. Se si guarda alle condizioni oggettive ci si accorge del dramma che si consuma ogni mese in milioni di famiglie. La politica deve intervenire mani e piedi. Intervenire per aumentare salari e pensioni, intervenirte sulle tariffe interrompendo la tendena a fare business
sui servizi pubblici che così sono stati snaturati. Bisogna far funzionare
i servizi: scuola, casa, salute, devono essere di tutti ed è inevitabile riaprire il discorso della scala mobile, di un meccanismo che adegui i salari al costo della vita.
Chi teorizzava che azzerare gli automatismi salariali avrebbe fatto diminuire i prezzi è smentito decisamente dalla storia degli ultimi vent’anni. I prezzi hanno avuto una loro scala mobile, mentre gli stipendi è funzionata al contrario. E la povertà delle famiglie va letta all’interno della crescente povertà pubbliche: non è un caso, cito sempre dati Ue, che il livello di istruzione in Italia sia due punti percentuali sotto la media europea. Sta saltando una conquista
degli anni ’70, la crescita della scolarizzazione: l’abbandono nei primi
delle superiori è in media del 17%, non c’è confronto con altri paesi e i laureati non arrivano al 9 contro una media Ocse del 23%.
E in un contesto come quello disegnato dall’Istat, la proposta di Rifondazione – che le retribuzioni dei manager non superino di più di dieci volte il salario operaio – sembra ancora meno estremista. Nell’1% di contribuenti italiani che denuncia più di 45mila euro di reddito ci sono categorie come i parlamentari, i consiglieri regionali, funzionari e manager pubblici, dirigenti di azienda. Sono sempre più forti, e meno motivate, le differenze tra ricchi e poveri che poi sono coloro che producono la ricchezza della società. Quella differenza dirompente è un vulnus nella società a cui bisogna mettere un freno.