Diritti per tutti

Cara “Liberazione”, c’è un delizioso breve racconto di Italo Calvino – Prima che tu dica “Pronto” – del 1975, nel quale per il protagonista i viaggi intercontinentali non hanno nessun altro scopo che di avvicinarlo, tramite il telefono, alla donna amata, di stabilire un contatto d’amore che, quando stanno vicini, risulta impossibile. Oggi, il telefono è diventato per molte precarie e precari, per molte e molti giovani, il mezzo tramite il quale assicurarsi la risposta alla chiamata al lavoro, molti della nostra generazione, infatti, vivono attaccati al loro cellulare, in attesa perenne della chiamata che assicurerà loro qualche ora di lavoro, oppure attaccati al telefono del loro “call center”, che divide loro la giornata in minuti, voci, suoni d’attesa e suoneria, la cui voce ormai perde il significato, perde il sapore. Scendiamo in piazza sabato 4 novembre a Roma affinché si realizzi l’estensione a tutti i lavoratori dei diritti sindacali, del diritto ad essere reintegrati nel posto di lavoro a seguito di licenziamento senza giusta causa, del diritto di sciopero, della diritto alla rappresentanza sindacale, affinché sia reale l’estensione dei diritti di democrazia, di decisione e di partecipazione, a tutti gli aspetti e momenti della vita sociale e lavorativa delle persone, a partire da una legge che garantisca una piena e reale democrazia nei luoghi di lavoro, ma anche affinché il telefono e la voce ritornino ad essere quegli strumenti di comunicazione di coloro che chiamano casa, di coloro che chiamano gli amici, di chi si cerca e di chi si ama, perché «nel chiamarci a distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, di reti invisibili e di campi sopra la nostra testa, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno d’un’eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia d’esseri umani», perché il chiamarsi ritorni ad essere sia un’attesa sia una speranza di vita, invece che un avviso di precarietà e di sfruttamento.

* Giovani Comuniste/i, Civitavecchia