Caro direttore, Mehmet Öcalan, (il fratello di
Abdullah, ndr) e Havva Keser si sono recati
la mattina dell’11 gennaio a Gemlik per fare
visita al leader del popolo kurdo Abdullah
Öcalan. Il permesso ad incontrarlo è stato
negato, perché egli si trova confinato in
cella per una pena aggiuntiva. Mehmet
Öcalan e Havva Keser si sono visti rifiutare
l’ingresso sull’isola di Imrali quando sono
arrivati alla stazione della Gendarmeria di
Gemlik. Mehmet ha detto che i soldati gli
hanno mostrato un documento dicendo
«non lo potete vedere, Ocalan è stato
condannato a una sanzione di 20 giorni di
confino per decisione del Tribunale».
Mehmet ha detto che «volevo vedere il
foglio ma non mi è stato permesso. E non
hanno voluto darmi ulteriori dettagli. Ho
detto che avrei chiamato i media, ma non
me lo hanno permesso». L’avvocato del sig.
Öcalan, Bekir Kaya ha sottolineato che si
sta facendo di tutto per ottenere maggiori
dettagli, anche se non si è in grado di
trovare qualcuno che possa rispondere alle
loro indagini e che a causa delle festività il
Tribunale di Bursa è chiuso. La risposta
data così in maniera succinta e non
argomentata lascia molto pensare circa il
rispetto della dignità umana da parte delle
autorità turche. Nell’ultimo anno Öcalan è
stato in un regime d’isolamento molto
rigido, ciò dimostra che la politica di
annullamento e annientamento, di lenta
uccisione, sta intensificandosi. Per il popolo
kurdo questa ulteriore sanzione è un insulto
e una provocazione, rinchiudere in cella
una persona il primo giorno della festa non
è umano. Si tratta di un atto irresponsabile
da parte delle autorità turche nei confronti di
una persona che rappresenta la gran parte
dei kurdi e chiediamo che il governo turco
ponga fine a questo comportamento
disumano nei confronti del presidente
Öcalan e facciamo appello all’opinione
pubblica turca ed internazionale a
contrastare questo atteggiamento nei
confronti del Presidente Öcalan, oltre che
nei confronti della popolazione kurda,
facendo appello al Governo turco affinché
si assuma le proprie responsabilità anche
per trovare una soluzione politica piuttosto
che usando la forza militare.