Direzione nazionale del 9 ottobre 2006 – Intervento di Claudio Grassi

SULLA FINANZIARIA
Il giudizio che, come Partito, diamo di questa legge finanziaria non può essere positivo. Da questo punto di vista ho colto nelle relazioni, in particolare in quella del compagno Zipponi, un giudizio più articolato e problematico rispetto a quanto dichiarato nei giorni scorsi da dirigenti di Rifondazione. Aver applaudito acriticamente la finanziaria credo sia stato un errore sia di Rifondazione che della Cgil: prima di tutto poiché è innegabile che dentro la Finanziaria stessa vi sono cose molto negative; in secondo luogo, poiché tale iniziale valutazione ha dato ampi margini di manovra a chi vuole modificarla in senso opposto al nostro(Confindustria e componente moderata dell’Unione), consentendo una presentazione della manovra come troppo schiacciata sulla sinistra e sul sindacato. Al contrario, pur senza sottovalutare quanto di positivo la manovra contiene, emergono tuttavia molti punti che dobbiamo cercare di modificare.
In primo luogo dobbiamo riconoscere che, come sinistra di alternativa, abbiamo perso una battaglia sulla riduzione dell’entità della manovra. Non è un fattore secondario, poiché esso allude ad una scelta dell’Esecutivo – che varrà anche per i prossimi provvedimenti – di totale subalternità ai vincoli di Maastricht. Si sarebbe potuto scegliere un approccio più duttile, visti i precedenti di Francia e Germania e vista la congiuntura economica relativamente favorevole. In questo passaggio il Governo ha dimostrato una totale continuità con le politiche del centrosinistra degli anni ’90. Su questo punto la sconfitta è pesante. Attraverso un appello sottoscritto da oltre 70 economisti, avevamo in prima battuta chiesto una politica di stabilizzazione del debito. Inoltre il ministro Ferrero aveva chiesto di spalmare la manovra su due anni. Infine di ridurne l’entità a 24 miliardi.
Non solo non è passato nessuno di questi punti, ma addirittura si è tornati alla cifra iniziale dei 35 miliardi del Dpef (dopo che il ministro dell’economia aveva detto che ne erano sufficienti 30). Rifondazione doveva essere più determinata nel condurre questa lotta poiché, a differenza degli anni ’90, non eravamo solo noi ad essere convinti di questa necessità. Si è dimostrato infatti che questa politica rigidamente supina al patto di stabilità – che lo stesso Prodi definì “stupido” – è disastrosa proprio sul piano economico.
Detto questo, propongo che il Partito, durante tutto l’iter di discussione della legge finanziaria in Parlamento, sviluppi una forte iniziativa nei territori. Abbiamo bisogno di fare un tuffo nella realtà. Di sentire cosa dice e pensa la nostra gente. Di produrre iniziativa nella società. Di impegnare i nostri circoli e federazioni in una campagna di informazione e di lotta. Altrimenti, la finanziaria potrà cambiare solo in peggio. Lo dico perché in questi giorni mi è capitato di partecipare ad alcuni dibattiti e di registrare che l’opinione largamente prevalente, degli elettori non solo di Rifondazione ma anche di altri partiti dell’Unione, è assai meno positiva di quella che sento prevalere nel nostro gruppo dirigente qui riunito e nell’Unione più in generale. Non sottovaluterei tra l’altro il recente sondaggio apparso su Repubblica, dal quale risulta che il Governo da luglio ad oggi ha perso 20 punti percentuale di consenso: si tratta di un dato enorme, che allude ad una sensazione di delusione, di distacco della nostra gente.
Io penso che il popolo dell’Unione e in particolare di Rifondazione sia critico verso questa finanziaria non perché non abbia capito che in questa manovra sono presenti anche elementi positivi. Non commettiamo anche noi l’errore di ritenere che tutto si riduca ad una informazione distorta. Il problema è un altro: vi è uno scarto enorme tra le necessità e i bisogni che ha accumulato la nostra gente, le aspettative che anche noi avevamo suscitato in campagna elettorale ( fine della politica dei due tempi, soluzione al problema della quarta settimana, abolizione dello scalone senza toccare le pensioni, restituzione del fiscal drag, abolizione della legge 30 ecc) e questa legge finanziaria. Tutti i pensionati e i lavoratori dipendenti hanno capito che attraverso la rimodulazione delle aliquote Irpef e le detrazioni avranno qualcosa in più, ma hanno anche capito che attraverso il taglio ai trasferimenti ai Comuni e l’introduzione di ticket su visite e pronto soccorso quel beneficio viene sostanzialmente azzerato. Così come hanno capito che per il momento le pensioni sono state tenute fuori: ma che subito dopo, visto il patto sciaguratamente sottoscritto dai sindacati, potrebbe determinarsi un loro ulteriore peggioramento. Questi sono i problemi. Quindi la prima cosa da fare è dare una valutazione obiettiva della manovra economica, spiegando onestamente che questa non è la nostra finanziaria, che alcune cose siamo riusciti ad ottenerle, ma molte altre no e che quindi dobbiamo impegnarci in Parlamento e nel paese per cambiarla. In particolare dobbiamo lavorare affinché si evitino i tagli ai comuni, i ticket sanitari e si vada ad un abbattimento deciso delle spese militari. Da questo punto di vista la manifestazione del 4 novembre diventa un fatto straordinariamente importante per rilanciare la lotta contro la precarietà, ma anche per mandare un segnale a questo Governo la cui politica sul piano economico, ma non solo, è largamente insoddisfacente.

SULLA SINISTRA EUROPEA
Confermo il mio giudizio critico e sostanzialmente negativo circa la proposta avanzata sulla costituzione della sezione italiana della Sinistra europea, così come abbiamo fatto fin da quando questa proposta è stata avviata sul piano europeo alcuni anni fa. Una scelta che non significa estraniazione, ma critica ad un progetto politico che non condividiamo. Non significa estraniazione anche perché ho sentito qui oggi confermare che il nostro Partito resterà in campo con il suo nome, il suo simbolo e con la necessità, aggiungo io, di rilanciare quel processo di Rifondazione Comunista sempre evocato, ma mai praticato in questi nostri primi 15 anni di esistenza. Devo aggiungere molto francamente che se invece -come mi pare abbia ipotizzato Alfonso Gianni – l’operazione fosse quella della costituzione di un partito socialista di sinistra alla cui base mettere il pensiero di Riccardo Lombardi, non parteciperei e il mio comportamento sarebbe analogo a quello che sta tenendo la sinistra ds rispetto all’operazione di costruzione del partito democratico. Ma siccome questa proposta è stata nettamente respinta dal Segretario del partito, vediamo come procedere in questo processo rispetto al quale manteniamo comunque una nostra contrarietà. Ho già avuto modo di dirlo in parecchie occasioni, ma vorrei ribadirlo per non essere equivocato. Chi, come me, contesta il progetto della Sinistra Europea non è affatto contrario alla unificazione sul piano europeo e in Italia di tutte le forze che si collocano alla sinistra delle socialdemocrazie. Al contrario, riteniamo questa una esigenza prioritaria. Constatiamo che, sia in Italia che in Europa, per come è stato impostato il processo dai promotori della Sinistra Europea, queste forze si sono divise. E’ un dato di fatto: in Europa meno della metà delle forze della sinistra di alternativa si riconoscono nel Partito della Sinistra Europea e, in Italia, non si può certo dire che il processo avviato più di un anno fa abbia registrato il consenso prevalente dei soggetti – sia politici che di movimento – che in questi anni hanno lottato contro la guerra e il liberismo. Occorre altro. Ed è quello che continueremo a proporre criticamente nel percorso di costruzione della Sezione italiana della Sinistra Europea che la maggioranza del Partito intende mandare avanti.
In primo luogo proponiamo di investire di più sul rafforzamento del nostro Partito. Non si tratta di una semplice proposta conservativa, al contrario proponiamo di mettere finalmente mano alla Rifondazione Comunista, ad un percorso di ricerca critica della nostra storia, dei nostri presupposti teorici e ideologici. Avvertiamo profondamente l’esigenza di una riflessione che sia al tempo stesso non liquidatoria, ma anche molto aperta e spregiudicata. E anche sul piano organizzativo dobbiamo discutere per attuare cambiamenti coraggiosi, poiché è sempre più evidente lo scarto tra le nostre strutture e la realtà nella quale operano. Ma tutto questo con la convinzione che una forza comunista sia una presenza necessaria nel nostro paese, utile ai movimenti e ai lavoratori e che abbia una possibilità di espansione sia organizzativa che elettorale. Di questo siamo profondamente convinti. Così come siamo profondamente convinti – sulla base anche dei risultati fortemente negativi di Izquierda Unida in Spagna – che sia sbagliato pensare di superare le difficoltà che abbiamo di fronte, attraverso la diluizione progressiva della nostra identità e della nostra forza organizzativa entro un contenitore non più comunista. Una tale deriva non potrebbe che peggiorare la situazione. E ci vedrebbe fermamente contrari. Quindi al primo posto mettiamo il rilancio della Rifondazione Comunista.

In secondo luogo e parallelamente a questo dobbiamo operare per dare gambe alla sinistra di alternativa. Anche qui non proponiamo di meno, ma di più di quanto non propongano i compagni della maggioranza. La proposta della Sezione italiana della Sinistra Europea è riduttiva. Essa, come abbiamo visto in questi mesi, non raccoglie tutto quello che bisogna raccogliere per reggere la sfida del Partito Democratico. Dobbiamo ripartire dalle forze che hanno sostenuto il referendum per l’estensione dell’art. 18. Senza forzature organizzative – che inevitabilmente farebbero naufragare tutto – ma partendo dai contenuti. Così si può costruire una forte aggregazione, in Parlamento e nel Paese, rappresentativa di almeno il 15% ell’elettorato italiano. Le forme che si possono trovare sono molteplici: nelle istituzioni costruendo patti di consultazione preventivi dei rispettivi gruppi; nella società, attraverso la costituzione di forum della sinistra di alternativa aperti ai partiti, ai movimenti e a tutte le soggettività interessate. Allo stesso modo, si può dar vita ad una fondazione che, a partire dalle riviste che già operano nella sinistra di alternativa, apra il cantiere del confronto sul progetto di società, sulla necessità della trasformazione, sui cambiamenti avvenuti nei processi produttivi e sulle tante altre questioni su cui tutti noi della sinistra alternativa, comunque collocati, avvertiamo l’inadeguatezza della nostra analisi e della nostra proposta e la necessità, quindi, di un approfondimento.