Delocalizzare e tagliare posti di lavoro. Le aziende tedesche hanno scoperto la ricetta per fare crescere gli utili e rendere felici i propri manager, che hanno visto le loro retribuzioni raggiungere livelli da capogiro negli ultimi anni. Non altrettanto si può dire per i dipendenti: chi non perde il lavoro è sempre più spesso costretto ad accettare una riduzione del salario. La situazione ha raggiunto un livello talmente imbarazzante che il presidente della Repubblica in persona, Horst Köhler, è intervenuto attraverso un’intervista rilasciata al settimanale Stern per chiedere una redistribuzione della ricchezza attraverso una partecipazione dei lavoratori al capitale e agli utili delle imprese. Sarà sufficiente per cambiare rotta e migliorare le condizioni di reddito dei cittadini tedeschi? Il dibattito, in una Germania che fa i conti con il livello di disoccupazione più alto dai tempi della Repubblica di Weimar (quasi 5 milioni di senza lavoro), è in pieno svolgimento.
Il punto di partenza è una realtà in cui negli ultimi cinque anni – i dati sono forniti da un recente studio condotto dall’associazione di categoria della aziende metalmeccaniche ed elettrotecniche (Gesamtmetall) – sono stati tagliati il 15% dei posti di lavoro complessivi e il 10% delle capacità produttive. Conseguenze di una fuga di massa delle imprese verso il Sud del mondo o i paesi europei in grado di offrire un costo del lavoro più basso rispetto a quello tedesco, dove la paga oraria è di 27,60 euro nei Länder occidentali (in quelli orientali è mediamente inferiore del 10%), il livello più alto al mondo, secondo gli esperti, dopo quello danese, nonostante le riduzioni continue operate negli ultimi anni.
Tutto ciò ha consentito alle maggiori imprese tedesche di far letteralmente lievitare i profitti: le trenta società quotate al listino Dax di Francoforte hanno messo a segno in media nel 2004 una crescita degli utili dell’88%, distribuendo a ogni consigliere di amministrazione – è quanto ha messo in luce un’analisi dell’associazione di tutela degli obbligazionisti tedeschi (Dws) – un compenso medio di 1,6 milioni di euro (100 milioni di euro in più rispetto al 2003). E quest’anno l’incremento degli utili sarà del 35%, a fronte di un Pil che salirà di solo l’1%.
Con questi risultati, la tendenza a delocalizzare difficilmente potrà arrestarsi nel corso del prossimo anno. Anzi, le previsioni della Gesamtmetall parlano di un consolidamento, che sarà accompagnato ancora una volta da tagli di posti di lavoro per decina di migliaia di unità: solo per citare due dei casi più significativi, sono 10.000 quelli già annunciati dalla Volkswagen, che nel prossimo anno si attende un ulteriore incremento degli utili del 65%, e 16.000 quelli di DaimlerChrysler, che nel 2006 ha fissato un obiettivo di crescita degli utili del 40%.
Sicuri dunque che la risposta ai problemi della disoccupazione e dei bassi salari si trovi nel fare partecipare i dipendenti al capitale? È ciò che si chiede Jürgen Peters, segretario del potente sindacato dei metalmeccanici tedesco (Ig Metall) – impegnato dal prossimo febbraio in una trattativa per il rinnovo del contratto che si preannuncia molto difficile – secondo cui la proposta di Köhler, se realizzata, avrebbe solo l’effetto di far gravare sui dipendenti un rischio ulteriore rispetto a quello di perdere il proprio posto di lavoro. Solo nelle realtà aziendali più grandi, inoltre, i dipendenti potrebbero intervenire, attraverso la loro partecipazione nei consigli di vigilanza prevista dal sistema di cogestione (Mitbestimmung), sulle decisioni del management. E di rischio di distogliere l’attenzione dalla questione oggi di attualità, ovvero l’incremento dei salari reali, parla il leader della Linkspartei, Oskar Lafontaine, convinto che la redistribuzione della ricchezza, necessaria anche per sostenere una domanda interna tedesca sempre più debole, non passa semplicemente attraverso una partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa.
Comunque sia, in Germania hanno quanto meno cominciato a discuterne. E l’intervento del presidente Köhler, che ha ricevuto il sostegno di quasi tutti i partiti presenti al Bundestag, ha certamente il merito di aver riportato in auge un tema trascurato dall’agenda economica sociale del governo di Grande coalizione guidato da Angela Merkel.