ROMA — Cosa rossa sull’orlo di una crisi di nervi. L’intervento di Bertinotti, che dietro le quinte fa il pompiere, scongiura il peggio. Ma la casa comune della sinistra vacilla pericolosamente, dopo lo smarcamento a sorpresa del Pdci che vota la fiducia al governo ma non il welfare. Scelta a freddo, che Diliberto non preannuncia agli altri tre soci, e così quando nel primo pomeriggio il segretario comunista si presenta al vertice dei segretari (convocato in precedenza, per decidere sul simbolo comune), scoppia il finimondo. Il più arrabbiato è Giordano, che si sente scavalcato a sinistra, ma anche Mussi e Pecoraro sono furibondi. Tutti quanti puntano l’indice: «Oliviero sei stato sleale». Poi si alzano e se ne vanno. Fine della riunione. Seguono ore frenetiche, con le sorti della Cosa rossa appese ad un filo. Tocca al presidente della Camera rimettere insieme i cocci. Un pubblico ammonimento, «l’unita della sinistra non può subire turbative, piccole o grandi che siano», e un paio di telefonate. Risultato: il quartetto si ricompone, e alle otto di sera finalmente prendono posto attorno al tavolo i leader di Prc, Pdci, Sinistra democratica e Verdi (manca Pecoraro, per un impegno, rimpiazzato dal capogruppo Bonelli). Sbollita l’ira, si tenta di scongiurare lo strappo plateale e chiudere l’incidente ma il clima resta pesante. Diliberto giura che trattasi di equivoco. «Il nostro no al welfare è un segnale al governo mica un voto contro il resto della sinistra». Però gli altri tre gli rinfacciano l’uscita a sorpresa, e anche le ultime sortite personali, tipo «la verifica di governo non serve a niente». Scintille soprattutto con Rifondazione. Sleali e furbetti? Nient’affatto, è la replica del Pdci. «Siamo rimasti da soli in commissione Lavoro a difendere il nostro presidente mentre il Prc pensava ai propri emendamenti. E pure sulla richiesta di verifica, Giordano l’ha lanciata senza consultarci». Botta e risposta, una lunga lista di sgarbi e sgambetti da chiarire. Faticosamente, si tenta di ricucire lo strappo, e i quattro parlano anche della questione del simbolo, accantonata dopo la rottura. In palio, la sopravvivenza della casa a quattro.
Giordano, fra un vertice mancato e l’altro, aveva convocato d ‘ urgenza la segreteria del partito. Seduta ad alta tensione, anche qui. Refrain più gettonato: «Basta con questo giochino del Pdci a fregarci a sinistra». Con il dubbio di un possibile doppio-gioco di Diliberto, che potrebbe puntare ad uscire al momento buono dall’operazione, «spaccando Rifondazione, marcando invece il proprio profilo comunista e il simbolo della falce e martello, che nel nuovo partito non ci sarà più». Alla fine passa la linea decisionista del segretario, con la benedizione di Bertinotti: avanti tutta sulla Cosa rossa, con o senza il Pdci. Stop alla telenovela sul simbolo, ai diktat di Diliberto, prendere o lasciare: la “Sinistra”, con l’arcobaleno che piace ai Verdi. Lunedi in direzione Giordano chiederà perciò all’intero stato maggiore di dare via libera alla «forte accelerazione», chiamando se necessario alla conta. E siccome nel partito in questo momento si balla e i dissensi non mancano, si annunciano scintille. Ma il segretario può contare sull’asse con Fabio Mussi, sconcertato dal comportamento di Diliberto, e deciso anche lui a traghettare comunque la Sd nella Cosa rossa, anche se la fronda dei sindacalisti minaccia di allargarsi: dopo Nerozzi, anche altri importanti esponenti della Cgil come Panini o Podda potrebbero sfilarsi dall’ex correntone ds. E i Verdi? Pecoraro sconfessa Diliberto, «incomprensibile, non voglio la rottura ma serve un chiarimento», e insiste per andare «oltre la Cosa rossa» e a dare a tutta l’operazione anche un chiaro e visibile segno ambientalista. A cominciare proprio dalla convention romana dell’8-9 dicembre, da battezzare “Stati generali della sinistra e degli ambientalisti”. Una linea verde che il ministro vuole rispecchiata anche nel simbolo, e al tavolo sforna bozzetti e variazioni sul tema. Corsa contro il tempo ma, dopo la tempesta scoppiata, perfino il rischio che salti l’intero progetto e non solo il simbolo. Pietro Ingrao, il grande vecchio della sinistra chiamato ad aprire gli stati generali, spera che questa sia la volta buona.