«Israele non ha vinto questa guerra e ha ottenuto una risoluzione come questa, cosa sarebbe successo se l’avesse vinta?» E’ questo l’amaro commento del presidente del parlamento libanese lo sciita moderato Nabih Berri, appena letta la bozza di risoluzione concordata da Usa e Francia che dà campo libero ad Israele per continuare la guerra. Una risoluzione sulla base della quale gli Hezbollah dovrebbero sospendere qualsiasi attacco ma l’esercito israeliano potrà «difendersi», anche preventivamente, rimanendo all’interno dei territori libanesi che occupa (le fattorie di Sheba e le aree prese in questi 27 giorni di combattimenti). Una risoluzione che non chiede ad Israele di ritirarsi sui confini del 1949, che assolve la distruzione del Libano con oltre 1000 morti, che chiede ad Israele di consegnare le mappe dei campi minati creati fino al ritiro del maggio del 2000 ma non di quelli messi in piedi in queste ultime settimane, che istituisce una «fascia di sicurezza» solamente dalla parte libanese (il paese invaso) del confine fino al fiume Litani, nella quale non potranno operare le forze della resistenza libanese che, insieme a quella palestinese, dovrà essere disarmata, che non tiene per nulla in conto il fatto che la crisi mediorentale deriva dall’occupazione israeliana della West Bank, delle Fattorie di Sheba e del Golan, che non condanna la «pulizia etnica» portata avanti dall’esercito israeliano nel Libano del sud, che apre la strada all’invio di una forza multinazionale incaricata di «finire» il lavoro lasciato a metà dall’esercito israeliano, che ignora la necessità di uno scambio di prigionieri tra le due parti e le necessità di sicurezza della popolazione libanese che nelle varie invasioni israeliane ha avuto oltre 25.000 vittime, decine di migliaia di feriti e distruzioni immani. Non c’è da meravigliarsi quindi che il governo e le forze politiche libanesi, sia le componenti vicine alla resistenza (i movimenti sciiti Hezbollah e Amal ), gli indipendenti sunniti, i seguaci del presidente cristiano maronita Emile Lahoud, e soprattutto quelli dell’ex generale Michel Aoun – eroe della resistenza antisiriana e ora favorevole ad un’intesa con gli Hezbollah – sia quelli schierati a favore dei piani franco-Usa e contro ogni accordo con la Siria, la Hariri Inc del premier Fouad Siniora e del figlio dell’ex premier ucciso, le destre cristiano maronite di Geagea e di Gemayel, il druso Walid Jumblatt, abbiano respinto questa risoluzione che non ferma l’aggressione e che soddisfa solamente le richieste del paese invasore e non di quello invaso. Nessun governo libanese, anche il più filo-Usa, filo-Parigi e filo-Saudita, le principali caratteristiche del premier Fouad Siniora, potrebbe mai accettarla, pena una generale rivolta popolare, la caduta dello stesso esecutivo di «unità nazionale» e una nuova drammatica frammentazione del paese. Nessuno, neppure delle forze occupanti, potrà imporre al Libano un progetto che sancisce – in modo astorico e avventurista – una sorta di mandato coloniale franco-Usa e che rischia, punendo oltre misura la già sottorappresentata comunità sciita, di riaprire il braccio di ferro tra le varie componenti politiche e religiose congelato dopo quindici anni di guerra civile con gli accordi di Taif del 1989. Se la bozza franco-Usa dovesse essere approvata Israele potrebbe portare a compimento la «pulizia etnica» di una fascia di 20 chilometri in territorio libanese e i profughi non potranno tornare nelle loro case prima dell’arrivo di una forza di occupazione sotto la guida dell’ex potenza mandataria in Libano, la Francia. Una forza che controllerà anche i porti, gli aeroporti e i posti di frontiera con la Siria ponendo di nuovo sotto tutela l’intera «Repubblica dei cedri». La pericolosità della proposta è proporzionale al suo avventurismo: Perché mai la resistenza libanese e palestinese dovrebbero accettare di farsi disarmare prima di aver raggiunto i loro obiettivi di liberare i territori occupati e di ottenere la liberazione dei prigionieri nelle carceri israeliane?
Perché mai le forze multinazionali dovrebbero riuscire nello schiacciare la resistenza libanese e palestinese, laddove Israele, al prezzo di 22 anni di occupazione e di oltre mille soldati uccisi, ha evidentemente fallito?
E in ultima analisi com’è possibile risolvere i problemi del Libano senza una conferenza internazionale che affronti e risolva su scala regionale il conflitto originatosi dal rifiuto israeliano a lasciare i territori palestinesi, libanesi e siriani occupati nel 1967?