Dietro la megalomania di Mussi c’è quella della Cosa Rossa

Pagina sette di Repubblica. Foto di Fabio Mussi, con i soliti baffi e occhiali. Didascalia: “Non sono in vendita”. E chi mai se lo vuole comprare Mussi. Per farci cosa? Così leggiamo: “All’Espresso il leader di Sinistra democratica racconta che nel 1996 Berlusconi lo lusingò”. Nel ’96? Mussi sarebbe dunque un precursore del senatore Randazzo e il Cav. un recidivo. Sicchè bisogna recuperare il settimanale più amato dalla sinistra per scoprire che Berlusconi era tutto occhi per lui, Mussi Fabio: “Il leader della Cosa rossa”, perché “io leggo mi informo e precedo tutti”, “io porto la sinistra sulle spalle come Sisifo”, “io ho difeso per primo negri zingari e omosessuali”, “io avevo tutti nove e dieci al liceo”, “io ho rivoluzionato l’università” e poi “sai che ho fatto la tesi su Adorno?”, che “io sono arrivato sesto alla Normale di Pisa”? Quando l’intervistatrice fa notare che D’Alema alla Normale lo ha superato: “In quelle scuole di figli di professionisti per me farcela era un punto d’onore”.
Il turbinio egotico fa simpatia ma fa pure riflettere. Allarmati da quale pozzo di smarrimento possa affiorare l’idea eroica, tra le altre, d’esser leader della Cosa rossa, abbiamo cercato una spiegazione. Anche perché uno che si paragona al Sisifo camusiano (non proprio un vincitore mitologico) e poi si autorappresenta capo di una federazione della sinistra che non esiste ricorda tanto quel cavaliere bislacco che nei mulini a vento vedeva giganti. Ma tutto si spiega. Fabio Mussi passerà alla storia per essere riuscito nella replica nanometrica della Bolognina. Un esperimento di microbiologia che ha estratto dalla botanica della Quercia una scheggiolina chiamata “Sinistra democratica”. Un partito più liquido del Pd senza congresso e senza tessere. Praticamente non esiste. Senza simbolo (provvisorio da due anni), senza segretario, senza sezioni, senza militanti e probabilmente senza voti. A dire il vero c’era una volta la Cgil, ma poi s’è guardata intorno, non ha visto nessuno, e se n’è andata perplessa. Quest’atomo caduto doveva provocare una slavina a sinistra del pd, ma i suoi potenziali sostenitori sono andati alle primarie per Veltroni. Insomma una matrioska. E da qui deriva tutto: la satira che Mussi fa di se stesso prende forma nella tragedia della dèbacle poltica, sovrastandola.
Mussi sarà ricordato per aver caratterizzato l’ultimo congresso dei Ds passando dalle ceneri di Gramsci alla lacrima sul viso di Bobby Solo. Dunque il racconto d’egotismo macchiettistico che ha voluto regalare all’Espresso va capito. Eppure se continua così, in mancanza di consenso elettorale, dalla nascita della Cosa rossa, di politica vera, di un partito strutturato, insomma in mancanza di una ragione per esistere, presto potrebbe restare come materia di studio e di pietas solo un modello di autoannichilimento. La versione cabarettistica di un Berlinguer che fa il passo del gambero. Tant’è che quando dice “ho incontrato Berlusconi nel 1996 ed era occupato a compiacermi”, forse più che un j’accuse trattasi di una recherche du temps perdu.

L’espressione inconscia di un rimpianto o peggio il riflesso d’un desiderio inconfessabile. Fossi ancora abbastanza importante da attirare le attenzioni del Cav. – avrà pensato – figurati il mio peso nel centrosinistra. E invece oggi gli direbbero: mi dispiace ma il Cav. c’è solo per il senatore Randazzo, ci scusi il presidente è al telefono con il sentore De Gregorio. Ma la megalomania di Fabio Mussi è anche la megalomania della Sinistra radicale. Una piccola follia italiana. La presunzione di stare insieme quando non si condivide (ed è esplicito) niente. L’8 dicembre Prc, Pdci, Sd e Verdi hanno tenuto gli Stati generali. Patacche e frittelle ideologiche vendute in una specie di fiera rionale. Alla fine erano talmente in disaccordo che nessuno se l’è sentita di trarre le conclusioni. Una sinistra rivestita d’abiti ammuffiti e vecchi slogan di caverna ideologica. Dopo due giorni semi anarchici in stile sessantottino hanno fatto partire una musica neutra e se ne sono tornati a casa senza aver ben capito cosa fosse successo. Si narra di riunione fiume tra i segretari. E bisogna proprio immaginarseli i Giordano, i Pecoraro e i Diliberto che insieme a Mussi litigano sui colori d’un simbolo che non sono riusciti a concepire. I Verdi non vogliono niente di rosso, i comunisti vogliono falce e martello, Mussi vuole stare al governo, Rifondazione non lo considera necessario, Pecoraro vuole l’ambientalismo, Diliberto no, Giordano sta con i metalmeccanici, Mussi con la Cgil. Geometrie non euclidee e spartiti dodecafonici. Poi Pecoraro in disaccordo con Giordano, ma Diliberto in disaccordo con Giordano non è uguale a Pecoraro d’accordo con Diliberto. La proprietà transitiva, nella sinistra, non vale. Ecco dunque. Forse questo trionfo di liquidità, da far impallidire Pd e Pdl, è la casa ideale per Mussi. La cage aux folles.