Dietro il terrore una cupola di miliardari criminali

Giulietto Chiesa, anzitutto: quale guerra sta arrivando? Si tratta effettivamente di una «guerra di tipo sconosciuto», «prolungata» e «non convenzionale», come ripetutamente ha avvertito l’amministrazione statunitense? Che vuol dire concretamente e contro chi ci si rivolgerà?

Questa è la dinamica: e stando alle parole di George W. Bush, che appunto sono state ripetute più volte e non cambiano, non si può più pensare che si tratti di un’esplosione di sentimenti. E’ invece un ragionamento dell’élite dirigente degli Usa. Gli Stati Uniti si stanno preparando ad un’offensiva multilaterale prolungata, su diversi obiettivi: individuali – il che significa uccidere leaders e persone del movimento islamico -, contro diverse organizzazioni e le loro basi, contro Stati – nel senso proprio della parola – che secondo il giudizio degli Usa hanno collaborato all’azione terroristica. Si tratta di una operazione che effettivamente chiede tempo e vaste azioni militari.

Seconda serie di interrogativi: ma sarà davvero la guerra degli Usa, o piuttosto l’appello alla «difesa della civiltà moderna» non prevede un coinvolgimento molto più ampio? L’applicazione da parte dei Paesi della Nato dell’articolo 5 del Trattato non è forse la premessa di tale scenario?

Questo è da vedere. Purtroppo il meccansimo installato dalla Nato durante la guerra del Kosovo, la cosiddetta “nuova missione” per la quale diverse parti del Trattato di Washington sono state riscritte, fa sì che dall’estate 1999 ci sia con l’articolo 24 anche la previsione di una mutua azione contro chi abbia dall’esterno causato attacchi terroristici ad uno degli alleati. E’ chiaro che gli Usa, così, hanno diritto adesso di chiedere solidarietà agli altri Paesi aderenti alla Nato. Anche questa clausola, però, non prevede una cieca partecipazione, del tutto subalterna: secondo un criterio generale dell’Alleanza atlantica, che neppure la riscrittura del Trattato ha mutato, le iniziative debbono essere infatti unanimi e concordate. E’ su questo punto che tutti gli Stati dovranno pronunciarsi: bisognerà stabilire quali sono le modalità per individuare e colpire gli organizzatori degli attentati.

Terzo punto: oltre i confini della Nato, o meglio nelle sue prospettive strategiche, non si sta evidenziando anche un ruolo della Russia in questa “crociata”?

Gli Usa stanno ovviamente cercando di coinvolgere anche la Russia, e questo è un atteggiamento necessitato dagli assetti oggettivi, dunque oggettivamente saggio. Non mi pare però che Washington, da cui arriva un messaggio secco riassumibile nella formula “o con noi o contro di noi”, cerchi un rapporto privilegiato con Mosca per condurre le operazioni che medita: è chiaro che gli Usa non daranno diritto di veto a nessuno, tanto meno alla Russia. Dal canto suo, l’establishment russo attuale fa i conti con la propria opinione pubblica interna, che è colpita dai fatti ma non dimentica il passato: c’è ancora un milione di militari e una quantità di reduci e familiari che ricordano i caduti nella guerra in Afghanistan. Un Paese, peraltro, che alla fine di una guerra punitiva finirà per diventare una colonia di fatto degli Usa: non credo che la Russia e gli altri Stati vicini lo gradiranno molto. Putin, infatti, sta anticipando già, con le sue cautele, i molti distinguo che Mosca si prepara ad accentuare man mano che l’azione Usa si dispiegherà.

Un passo indietro e più in generale: non pensi che nella stessa giornata di terrore e di strage subita da New York e Washington vi sia un bilancio della politica Usa col resto del mondo? E se sì, non riguarda forse un assetto globale?

Credo che ci sia e che sia non solo un bilancio della politica di questo presidente, di Bush jr, ma l’esito di un’intera fase della storia. C’è un rapporto tra i problemi della globalizzazione, l’egemonia Usa e quel che è accaduto. I terroristi sono barbari, ma hanno potuto agire sulla base di una situazione di tale squilibrio e arbritrio, e di esaltazione del ruolo della forza, che gli consente di nuotare in acque se non amiche perlomeno neutre in gran parte del Terzo Mondo.

Stai parlando della globalizzazione?

Lo stato del mondo alla fine del secolo trascorso era oltremodo precario, per due ragioni fondamentali. La prima risiede nella disparità di distribuzione della ricchezza, accentuata oltre limiti sopportabili dalla comunità mondiale: 1 miliardo e 300 milioni di persone che vivono con meno d’un dollaro al giorno, interi continenti gettati ai margini della civiltà, la moltiplicazione delle epidemie, definiscono un quadro deplorevole non solo in sé ma anche rispetto alle epoche precedenti, smentendo l’esaltazione della globalizzazione come strada maestra dello sviluppo umano con la realtà di un peggioramento relativo e assoluto. Un mondo troppo diseguale, insomma, per essere pacifico. Secondo elemento: alla fine del Novecento appariva in tutta la sua evidenza l’artificialità del sistema costruito, portando la crisi economica al suo centro, cioè a partire dagli stessi Usa.

In questo quadro, anche se adesso si cerca di invertire il rapporto cronologico tra crisi e attentati, non ti sembra inquietante la lucidità della tempistica delle stragi?

Chi ha portato gli attacchi rappresenta un gruppo criminale altamente informato: l’immagine tradizionale del gruppo fondamentalista è molto parziale e non aiuterà a trovare i veri responsabili. Giacché, evidentemente, essi si sono mostrati in grado di fare valutazioni strategiche concernenti non solo e non tanto l’ideologia o il fanatismo religioso, ma lo stato del mondo. Questo mi fa venire in mente una cellula impazzita dello stesso meccanismo globale creato, piuttosto che una realtà esterna. Si tratta di miliardari, mercanti miliardari, rimasti tali e non certo produttori: una mafia mercantile avida e totalmente cinica, per nulla mossa da grandi ideali. Sospetto, in sintesi, che bisognerebbe cercare in direzioni che possono apparire insospettabili.

Ma allora che senso ha la movenza attuale d’una guerra, d’una crociata contro «gruppi di terroristi»?

Se le cose stanno così, dobbiamo temere due cose: assumendo che il gruppo che ha architettato gli attentati abbia questa caratteristiche mafiose, mercantili e criminali, quella di martedì scorso va vista non come un’azione una tantum ma come solo una di quelle nelle sue possibilità. Altre potrebbero quindi seguire, altrettanto sterminatrici e mostruose. Perciò occorre assolutamente individuare e colpire quel gruppo, che rappresenta uno strumento di destabilizzazione permanente. Al tempo stesso, l’errore più grave per l’Occidente sarebbe considerare questa una battaglia solo sua e non fatta seguendo i valori universali che fin qui ha predicato, anche per come si era autointerpretato durante la stessa Guerra Fredda. Dovrebbe invece interpellare l’intera opinione pubblica mondiale, raccogliendo una grande sfida per la tenuta dell’umanità nel suo complesso.

Quel che dici come potrebbe concretarsi, quale azione diversa da quella che si va profilando sarebe possibile?

Nel momento in cui saranno individuati i responsabili o le indagini arriveranno ad un punto, dev’esserci un luogo giuridico universalmente riconosciuto per giudicare e orientare l’azione conseguente. Non può essere dunque la Nato, e se non è realistico che lo sia l’Assemblea generale però può e deve esserlo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E’ vero che esso non ha a disposizione forze militari, ma possiede un’investitura mondiale: sceglierà poi a chi affidare un compito di giustizia internazionale. Penso insomma che occorra, in qualche misura, fare di nuovo riferimento perlomeno alle procedure di legittimazione conosciute anche per la guerra del Golfo. Si eviterà di commettere, se pure non tutti, gli errori più clamorosi. E soprattutto si stabilirà un altro precedente importante: che non è un gruppo di Stati più potenti ma la comunità internazionale nel suo complesso a decidere.

Bene, ma il quadro globale che hai descritto poc’anzi come può giustificare l’idea che una spirale di terrore e guerra permanente sia fermata così?

Io dico: guai se si ritenesse che il problema si possa risolvere nella sola ricerca e punizione di questi colpevoli, di questa cupola internazionale potente come non mai, potente più d’uno Stato, dove diverse forze sono confluite in una struttura permanente destabilizzante. Sarebbe un errore tragico, perché essa appunto agisce in un contesto di crisi internazionale avanzata. L’Occidente, in realtà, non potrà avere una solidarietà internazionale fin che non si avvierà a trasformare questo mondo in un nuovo ordine di rapporti politici ed economici. Sembra utopico, ma veramente illusorio è pensare di pacificare perpetuando con l’uso della forza il dominio esercitato finora. La sfida in atto non è uno scontro tra civiltà, se l’Occidente la interpeta così vi finirà disastrosamente. Il papa di Roma ha avuto il coraggio di chiedere due o tre volte perdono: l’Occidente non credo debba farlo ma deve chiedere anzitutto a se stesso se quello presente è l’unico mondo possibile o piuttosto non è possibile realizzarne un altro più giusto. Passare, in conclusione, da una cattiva globalizzazione ad una, semplicemente, più giusta.