Preannunciato dalle agenzie, il colpo gobbo arriva subito, non appena Prodi ha concluso la sua replica. Giulio Andreotti annuncia che uscirà dall’aula e fa pure un breve riassunto della puntata precedente, la sua astensione di una settimana fa determinante per l’apertura della crisi. Gli è che «da alcuni» – cioè da parte del ministro degli esteri, che il senatore a vita non nomin neanche – era stata sottolineata la discontinuità dalla politica estera di Berlusconi, e questo non gli stava bene. Ma ormai questa è preistoria, passiamo a oggi. E oggi, «c’è in più questa strana dizione che è stata detta delle necessità di regolamentare le convivenze tra le persone anche dello stesso sesso» E no, « non sono queste le riforme che il nostro paese e i suoi giovani attendono». Fra dizione, detta e Dico il nostro s’impiglia e incorre in un lapsus che equipara il sesso e il senso, ma questo è un problema suo. Il problema del governo invece è che lui, bontà sua, stavolta esce dall’aula, limitando il danno, ma in una settimana ha emesso e seminato tutto il veleno che poteva e ha reso chiaro, se ce n’era bisogno, che il cattolico Prodi senza genuflettersi davanti al Sant’Uffizio non può governare.
Agitata come clava ricattatoria per tutta la giornata, la questione dei Dico si conferma posta in gioco cruciale della crisi e mina vagante del dopo-crisi. Prodi aveva scelto di tacerne nel suo discorso di martedì, enfatizzando invece tutti i provvedimenti in agenda di sostegno alla famiglia «regolare» e lanciando così un messaggio più che esplicito di «ricevuto» alle richieste ripetutamente avanzate dai vescovi tramite Avvenire (nonché nell’incontro fra Stato e Vaticano per l’anniversario dei Patti lateranensi, quello che ufficialmente era andato «bene, benissimo»). Ma il tacerne non era bastato: nel dibattito in aula e nelle dichiarazioni in corridoio, i cattolici, da Andreotti a Mastella, volevano una ritrattazione. Prodi non l’ha fatta: «Sui Dico il governo ha presentato il suo ddl in parlamento e con questo ha esaurito il suo compito. Spetta ora al parlamento costruire un testo sul quale avere ampie convergenze, con un dibattito sereno, senza preclusioni e lasciando spazio alla libertà di coscienza». Dopodiché, di nuovo grande enfasi sulla «necessità di una politica forte per le famiglie»: aiuti alle famiglie numerose, detrazioni sull’Ici in base ai figli a carico, asili nido in quantità.
Ora che Prodi ha ottenuto i voti che gli servivano, la questione dei Dico lascia sul tappeto tre strascichi. Il primo, ovvio, è che il Ddl del governo al senato non passerà mai, e che sulle convivenze ci aspettano anni di contorsioni parlamentari e lobbismi cattolici pari a quelli che abbiamo alle spalle sul divorzio, l’aborto, la violenza sessuale, la procreazione assistita e via dicendo. Il secondo, anch’esso ovvio, è che per l’ennesima volta è stato dimostrato che in Italia la laicità dello stato è una finzione, e che una politica riformista liberale, per quanto cauta e moderatissima, viene regolarmente barrata dalle gerarchie vaticane. La questione non è senza conseguenze per i rapporti fra sinistra moderata e sinistra radicale: perché in Italia non è possibile fare quello che la sinistra moderata fa altrove in tempi di crisi del welfare, cioè compensare il freno (e la perdita di consensi) sui diritti sociali con l’acceleratore sui diritti civili. E perché in Italia non c’è possibilità di «innovare» e «modernizzare» alcunché sul fronte delle libertà per via puramente parlamentare, cioè senza il sostegno e la pressione dei movimenti sociali: è stato così per il divorzio, l’aborto e la violenza sessuale, e potrà essere così solo per i Dico e qualunque questione «eticamente sensibile».
Ma c’è un terzo strascico, meno patente ma più velenoso, di cui lo steso Prodi si è fatto complice «compensando» a sua volta la sua «trasgressione» sulle convivenze «irregolari» con il suo allineamento al dettato vaticano sulle politiche per le famiglie «regolari». Il rischio è quello, simbolico, di una nuova divaricazione fra norma e devianza, fra sessualità consentita e sessualità interdetta, fra affetti ammessi e affetti maledetti. Unito a quello, materiale, della divaricazione fra diritti individuali (di libertà) e diritti familiari (sociali), con i primi che passano in secondo piano rispetto ai secondi. Sotto la questione dei Dico, avanzano nuove linee di gerarchizzazione e di conflitto che altre società occidentali già conoscono, e con cui né la sinistra radicale né quella moderata potranno d’ora in poi evitare di confrontarsi.